(Angelo Paratico) Giuseppe Fasoli, nato a Negarine nel 1897 e morto a Verona 23 marzo 1995, fu un sergente nel corpo degli Arditi durante la I Guerra Mondiale. Combatté spesso in prima linea, venendo congedato con il grado di sergente del 6° battaglione Arditi. Per i suoi atti di eroismo ricevette varie decorazioni, e la cittadinanza onoraria di Vittorio Veneto.
Scrivo di lui perché è stato il padre dell’amico Gian Antonio Fasoli, che vive in una frazione di Negrar. Durante i nostri incontri conviviali, mi citava spesso una semplice immagine di gesso che suo padre teneva sopra al comodino, di fianco al letto.

Quella immaginetta se l’era messa nella giacca nel novembre del 1917, raccogliendola in una chiesa posta sulla linea del fuoco, a Vidor, sul fronte del Piave. Giuseppe, alzandosi dal pavimento di quella chiesa, fra le pallottole e gli scoppi delle granate, vide quel santo appeso a un chiodo. Ne fu stupito e disse all’immagine: “Che fa qui, signore? È meglio che venga con me, sennò farà una brutta fine. Se mi riporterà a casa vivo io la terrò al sicuro”. Rappresenta San Luigi Gonzaga e ogni sera, prima di addormentarsi, gli toccava la spalla con l’indice e si faceva il segno della croce, ricordando il loro incontro tanti anni prima.

Vidor, in provincia di Treviso, fu occupata dagli imperi centrali sino alla fine del conflitto, e vide danneggiato il suo splendido patrimonio, fra cui una bella chiesa antica. Dopo la rotta di Caporetto, alla fine del 1917, assunse un ruolo fondamentale per permettere la ritirata alle truppe italiane più avanzate, rimaste imbottigliate.
Gli Arditi primo esempio di corpo speciale
Giuseppe Fasoli apparteneva al corpo d’elite dell’esercito italiano, gli Arditi, forse il primo esempio di truppe speciali nel mondo. Chi ha visto il film “1917” nelle sale cinematografiche, oppure ha letto il libro che abbiamo pubblicato di Oswald Mosley “La Mia Vita” può farsi una idea di cosa sia stata la guerra di trincea, e fu naturale che a qualche ufficiale italiano venne l’ispirazione di rompere l’impasse con una soluzione ardita.

Crearono così delle truppe speciali, armate di bombe a mano “a petardo” e pugnali per muoversi rapidamente dentro alle trincee nemiche, come dei veri e propri guerrieri Ninjia giapponesi, sfruttando le tenebre e la sorpresa.Il loro motto era: “O la Vittoria, o tutti accoppati”. Erano noti fra i comuni fanti come “le fiamme nere” e quando sentivano che stavano arrivando per aprire il terreno oltre i reticolati, i nostri soldati si rinfrancavano e gli austriaci tremavano, considerandoli dei pazzi.
I primi nuclei di Arditi nacquero e si addestrarono a Manzano (Udine), in località Sdricca – e vennero sciolti nel 1920, anche se le loro tradizioni militari vengono ancora tenute vive dal 9° reggimento paracadutisti Col Moschin – dove pochi giorni fa sono stati commemorati.
Operativamente gli Arditi agivano in piccole unità d’assalto, i cui membri erano dotati di bombe “Thévenot” e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee poi venivano tenute occupate fino all’arrivo dei rincalzi di fanteria. Il tasso di perdite fu sempre estremamente elevato.

L’ardito Giuseppe Fasoli non ne parlava mai
Partito per la guerra a 18 anni, Giuseppe Fasoli, tornò a casa nel 1918 e riprese il lavoro nei campi. Non parlò mai con nessuno di ciò che aveva fatto e di ciò che aveva visto. Tutto quanto disse al figlio Gian Antonio si limita a questa piccola scultura con il Santo, al quale si affidava prima di riposare. Dopo la 2ª guerra mondiale venne boicottato, per via dei suoi trascorsi fra le Fiamme Nere, ma lui non ci badò e continuò con il suo lavoro. Quando gli domandavano qualcosa, guardava altrove e cambiava discorso. Questo è comprensibile, la guerra che condussero nelle trincee raggiunse dei livelli di ferocia oggi inimmaginabili.
