Trionfo beethoveniano

(di Gianni Schicchi) Ế terminata con un vistoso successo la “due giorni” promossa da Il Settembre dell’Accademia per l’esecuzione dell’integrale dei concerti per pianoforte di Beethoven. Ne sono stati interpreti il famoso pianista tedesco Alexander Lonquich e l’Orchestra da camera di Mantova, consorzio musicale ormai consolidato in un programma che da dieci anni viene portato in tutta l’Italia. 

Lonquich è un personaggio che può dirsi formato anche a Verona per la lunga frequenza non solo del Filarmonico, ma anche per la preziosa ospitalità datagli spesso dai fratelli Gioco per esercitarsi con lo strumento in un locale antistante il loro famoso ristorante 12 Apostoli.

A 65 anni, il pianista tedesco può vantare un curriculum ricco di successi in ogni angolo dell’Europa e a dargli una mano ha contribuito l’orchestra mantovana, oggi ferratissima compagine in grado di affrontare senza timore ogni pagina della letteratura classica. Una conferma della sua eccellenza è stata sicuramente la duplice esecuzione beethoveniana che ha testimoniato ulteriormente come il suono di un piccolo organismo orchestrale sia l’ideale per definire meglio un testo che si addice più di quello di un grande complesso.

Lo stesso Lonquich si è così orientato nel privilegiare un fraseggio molto mobile in cui l’articolazione delle frasi è sempre messa bene in evidenza, gli accenti ben pronunciati e i contrasti dinamici valorizzati il più possibile,  piuttosto che cercare un’astratta pulizia del fraseggio ed un legato eccessivamente morbido.

Alexander Lonquich è un pianista che deve essere ascoltato perché ha sempre qualcosa da dire, poco incline a scendere nel compromesso e ad accattivare l’uditorio con giochi di prestigio digitali e virtuosistici, scintillanti in superficie, ma poveri nella sostanza.               

Le sue interpretazioni non possono definirsi filologiche in senso stretto, visto che l’orchestra non usa strumenti originali e non mirano all’originalità a tutti i costi, però in esse si avverte la forte personalità del solista che non cerca la lunga tradizione, bensì una vitalità ed una immediatezza espressiva straordinarie.

Il suono del secondo Concerto è stato infatti di una leggerezza e di una trasparenza naturalissime che abbiamo ritrovato anche nel terzo Concerto, la cui drammaticità passa attraverso le irregolarità del tactus e le inflessioni del fraseggio, piuttosto che attraverso lo spessore sonoro e l’incisività degli attacchi del solista e dei colpi d’arco dell’orchestra. Tutto succede nel primo e nel secondo movimento, dal fraseggio insinuante e misterioso come raramente accade di ascoltare, ma anche in quello finale, che pur scorrendo abbastanza velocemente è tutto pervaso da una inquietudine pungente.

Il fraseggio di Lonquich è in sostanza di un linguaggio che chiede di poter parlare, come dimostrano il perentorio attacco del Terzo Concerto e del Secondo Concerto nel rapido e irregolare trascorrere delle frasi del primo movimento e la freschezza di quello conclusivo. Lonquich non ha bisogno di fare numeri da prestigiatore, anche se si prende qualche libertà, come l’accordo eseguito in arpeggiato nell’attacco del Quarto Concerto, e nemmeno di cercare ad ogni costo la brillantezza, anzi il suo pianoforte e l’orchestra si rivelano particolarmente morbidi negli attacchi dell’Andante con moto del Quarto Concerto, dolcissimo e sognante pur se contenuto nelle sonorità, dove la Cadenza è davvero di una straordinaria qualità.

Da ultimo, rilevante il Quinto Concerto, l’Imperatore, dove si sono apprezzati molti dettagli, come la cura dei dialoghi tra gli strumentini nello sviluppo del primo movimento e la profonda espressività che caratterizza il successivo Adagio un poco mosso, per non parlare di un finale pieno di vitalità, a tratti anche di un suono ruvido, ma travolgente negli sforzando e nella verve ritmica.

Il pubblico del Filarmonico ha riservato una calorosa accoglienza a solista e orchestra nelle due giornate (di più forse nella seconda dove il teatro è arrivato quasi all’esaurito), ripagato alla conclusione con tre bis.

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