Johannesburg (Sudafrica) – C’è una via tutta veronese nella City of Gold  (Città dell’oro) sudafricana, nell’ex provincia del Transvaal (dal 1910 al 1994) ed oggi capoluogo della provincia di Gauteng (“posto d’oro” in lingua sotho del sud o sesotho). 

 Via situata ad una decina di chilometri da Hillbrow, zona in della metropoli, dove s’alza la Hillbrow Tower (ufficialmente Telkom Joburg Tower, citata in precedenza come JG Strijdom Tower, torre per telecomunicazioni alta 269 m alla guglia dell’antenna). Struttura iconica dello skyline di Johannesburg assieme alla “collega” Sentech Tower (ex Albert Hertzog Tower, nota quale Brixton Tower, altra torre radio-televisiva da 237 m, nel sobborgo di Brixton, nei presi della cima del Brixton Ridge. “Colossi” di cemento, questi, che fanno compagnia ai grattacieli del  potere bianco propiziato anche (se non soprattutto) con la passata imposizione dell’apartheid.

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Apartheid, termine per “separazione” in afrikaans, una delle lingue ufficiali sudafricane. Cioè, la politica di segregazione e discriminazione razziale applicata dal governo d’etnia bianca nel 1948, formalmente abolita, nelle leggi base, nel 1991 ed in definitiva fine con l’elezione nel 1994 di Nelson Mandela (Nelson Rolihlahla Mandela, Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013, attivista antagonista dell’apartheid, liberato nel 1990 dal presidente Frederick Willem de Klerk (Johannesburg, 18 marzo 1936 – Città del Capo, 11 novembre 2021, in carica dal 1989 al 1994), dopo aver scontato ben 27 anni di carcere per la sua lotta al segregazionismo razziale. 

 L’iniziatore dell’apartheid nonché indefesso sostenitore del nazionalismo afrikaner fu Daniel François Malan (Riebeech West, 22 maggio 1874 – Stellenbosch, 7 febbraio 1959),  primo ministro dal 1948 al 1954.

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Città più popolosa del Sudafrica con i suoi circa 5.635.000 abitanti (al 2019), Johannesburg (ufficiosamente chiamata Joburg o Jozi) ha oggi la fama nefasta d’essere annoverata tra gli agglomerati urbani col più alto tasso di criminalità al mondo. Che, purtroppo, ha coinvolto anche il luogo dove scorre Verona street, raggiungibile, ad esempio, partendo dalla stazione centrale degli autobus verso l’area specifica di Rosettenville, a sud-est rispetto al centro, nel proseguimento di Rifle Range street.

I Veronesi tacciati di essere stati accondiscendenti e/o non contrari all’apartheid

È lì (ed in altre parti di Johannesburg) che vari operatori commerciali d’origine scaligera (e non solo) hanno aperto esercizi dedicando insegne e denominazioni di quanto avviato alla lontanissima Verona (distante, in linea d’aria, circa 8.150 km). In Verona street, infatti, lavorano la Verona automatic dry cleaners, la Verona diensstasie, la Verona meat market, la Verona paint & hardware, la Verona service station

La stessa arteria periferica è, inoltre, residenza d’una “colonia” del mai dimenticato ceppo veronese che, sotto la Croce del Sud, ha trovato da tanti anni una solida sistemazione economica giudicata difficile da raggiungere nei natii quartieri periferici, magari, di Tombetta o di San Michele Extra. Oppure nei paesi della provincia dov’era difficile trovar rimedio alla crisi occupazionale dall’ultimo dopoguerra ai primi Anni Sessanta (se non Settanta) del secolo scorso. I cosiddetti “orfani del boom e del miracolo economico” in Italia, scoppiato tra i primi Anni Cinquanta e la metà degli Anni Sessanta del XX secolo.  

Senza tralasciare i molti italiani prigionieri di guerra (nel campo d’internamento britannico di Zonderwater vennero deportati migliaia di militari fatti prigionieri in Nord Africa e nell’Africa Orientale) che optarono per rimanere in Sudafrica a conflitto concluso. La comunità d’origine italiana (od italo-sudafricana) conta attualmente circa 85mila persone, di cui la metà con cittadinanza della propria nazione madre. Un nucleo di 5mila veneti è concentrato soprattutto a Johannesburg.

Anche i veronesi di Verona street sono stati tacciati, come la maggioranza degli italiani in Sudafrica, d’essere filogovernativi, ergo accondiscendenti e/o non contrari all’apartheid e, di conseguenza, razzisti, in quanto ben integrati nella comunità boera (discendente dai primi colonizzatori del XVII secolo di radice perlopiù olandese, con presenze francesi, tedesche e britanniche, di lingua appunto afrikaans e di religione protestante), i cui leader imposero le rigidi regole del sistema estremista di separazione istituzionalizzato. 

Servizio e foto di Claudio Beccalossi