(ndc) Si è svolto lunedì 6 ottobre al Circolo Unificato dell’Esercito di Verona il convegno scientifico “La devianza minorile”, organizzato dalla criminologa e manager culturale Giusy Calabró, sotto l’alto patrocinio del Parlamento europeo. L’iniziativa, che ha coinvolto istituzioni, professionisti e studiosi, ha acceso i riflettori su bande giovanili, radicalizzazione in rete, scuola, reati minorili e carcere. All’indomani dell’evento, la dottoressa Giusy Calabró ha approfondito alcuni dei temi affrontati nel suo intervento in questa intervista.

INTERVISTA A GIUSY CALABRÓ

Che tipo di esperienza diretta ha avuto con le bande giovanili?
«Nonostante il criminologo si occupi principalmente di interpretazione e analisi dei dati ho avuto esperienza diretta nell’ambiente scolastico, sia con studenti degli istituti superiori veronesi e atleti che appartenevano a firms e youth gangs, sia con docenti che mi hanno interpellata poiché avevano studentesse che subivano minacce e soprusi dalla banda femminile PRZ.»

Ha condotto ricerche sul campo o si è basata su fonti di seconda mano?
«Le mie ricerche sul campo concernono l’attività di CTU presso il Tribunale di Verona e le osservazioni psicopedagogiche e comportamentali negli ambienti educativi nei quali ho operato. Nella stesura del mio elaborato di ricerca mi sono principalmente basata su fonti di seconda mano concernenti le ricerche internazionali più innovative nel campo della Criminologia dello Sviluppo e di altre discipline affini quali le neuroscienze, la genetica, la pedagogia ecc. Purtroppo l’Italia non è al passo degli altri Paesi nel campo della ricerca scientifica d’ambito criminologico.»

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Giusy Calabrò

Qual è, secondo lei, il vero motore delle bande giovanili oggi: la povertà, la mancanza di riferimenti familiari o il bisogno di appartenenza?
«Direi principalmente la perdita del senso di identità e riferimenti affettivo-relazionali ed educativi in seno alla famiglia che, d’altronde, costituiscono i principali fattori predittivi della condotta deviante. Un adolescente che vive una situazione di disagio e disadattamento emotivo, relazionale, sociale, ambientale ed economico spesso cerca rifugio e guida in seno alla banda giovanile.»

Che ruolo hanno i social network nel costruire l’identità e la “reputazione” all’interno di questi gruppi?
«Gli adolescenti che vivono una situazione di carenza identitaria, affettiva, relazionale e sociale trovano nel cyberspazio e nei social network un luogo in cui poter costruire un’immagine “migliore” di se stessi, l’illusoria ed effimera certezza di “essere qualcuno” costruendo un’identità fittizia oppure aderendo a gruppi devianti, settari e di radicalizzazione in Rete nei quali vengono adescati e manipolati per finalità immorali, illegali o terroristiche.»

Alcuni sostengono che queste bande siano la conseguenza diretta dell’abbandono istituzionale. È d’accordo o ritiene che la responsabilità sia soprattutto individuale?
«Concordo ma non pienamente per deformazione professionale. La criminologia è una disciplina multifattoriale che considera anche gli aspetti psicologici, biologici e ambientali; pertanto, seppure debba riconoscere che le Generazioni Z e Alpha stiano attraversando una fase esistenziale molto critica a causa dell’abbandono istituzionale è pur vero che sussistono una serie di fattori di protezione individuali (es. la resilienza e la fede religiosa) oppure presenti in seno al contesto familiare, scolastico o sociale che arginano il rischio di condotta deviante.»

Crede che la risposta repressiva – più controlli, più pene – sia una soluzione o un modo per spostare il problema nel tempo?
«Credo che l’unica soluzione realmente efficace risieda nella prevenzione primaria, secondaria e terziaria. Nei casi estremi sarebbe preferibile avvalersi di istituti efficaci e personalizzati quali la messa alla prova e, comunque, evitare il più possibile l’esperienza traumatica della detenzione.»

Se potesse parlare oggi con un ragazzo che sta per entrare in una banda, cosa gli direbbe?
«Consiglierei loro di scegliersi un’attività sportiva di loro gradimento oppure di frequentare un gruppo parrocchiale. Ritengo che nella condizione attuale in cui riversano la famiglia e la scuola italiane, ambienti essenziali ormai privati dei valori, dei principi e delle relazioni fondamentali, frequentare un ambiente agonistico o una comunità cristiana sia rilevante per la crescita individuale, spirituale, psicofisica, umana e sociale delle nuove generazioni.»