“Così si rischia di privatizzare il welfare nell’Est Veronese”
(Francesca Romana Riello) «Il servizio sociale non può avere un biglietto d’ingresso». È una frase semplice, ma racchiude tutta la preoccupazione dei sindacati veronesi.
Ieri mattina, nella sede della UIL FPL di Verona, in corso Venezia, FP CGIL, CISL FP e UIL FPL hanno annunciato lo stato di agitazione del personale dei servizi sociali dell’Ambito Territoriale Sociale Ven-27, che comprende i comuni dell’Est Veronese, da San Bonifacio a Legnago.
“Preoccupati per chi lavora, ma anche per chi viene assistito”
A prendere la parola sono stati Valentino Geri (FP CGIL Verona), Stefano Mazzoni (CISL FP Verona) e Marco Bognin (UIL FPL Verona).
Proprio Bognin, con tono deciso, ha ribadito il punto centrale: «La nostra preoccupazione è doppia: riguarda i lavoratori, che rischiano di perdere lo status di dipendenti pubblici e le relative tutele, ma anche le persone assistite. I servizi sociali devono restare accessibili, universali, non orientati al profitto».

Il timore, condiviso dalle tre rappresentanze è che la nascita di un’Azienda Speciale Consortile di tipo economico apra di fatto la strada a una forma di privatizzazione dei servizi, snaturando il loro ruolo pubblico.
Servizi sociali. Un modello che divide la provincia
Il nuovo assetto riguarda l’Ambito Ven-27, nato dalla riorganizzazione dei distretti dell’ULSS 9 Scaligera. È l’unico, tra i quattro ambiti sociali veronesi, a voler adottare un modello economico: gli altri (Verona, Ovest Veronese e Legnago) hanno scelto di restare su formule pubbliche.«Una differenza sostanziale, spiega Geri ,che potrebbe creare disparità tra territori e rendere disomogenea la qualità dei servizi».
Un passaggio che non convince nemmeno Mazzoni, secondo il quale «non si tratta di risparmiare, ma di garantire stabilità. Cambiare forma giuridica non è la soluzione».
Il nodo del Basso Veronese
La questione tocca da vicino anche il Basso Veronese, dove la rete dei servizi sociali rappresenta spesso l’unico presidio per famiglie, anziani e persone fragili. «Quando un servizio si allontana dal territorio, ha osservato Bognin , la prima cosa che si spezza è la fiducia. E quella fiducia, nei nostri comuni, vale più di qualsiasi bilancio».
Il rischio, secondo i sindacati, è che una gestione “a logica di mercato” possa mettere in discussione la continuità dell’assistenza e la tenuta del sistema di welfare locale.
I riferimenti normativi e la richiesta di confronto
A sostegno delle loro posizioni, CGIL, CISL e UIL ricordano il decreto ministeriale del luglio 2025, che ribadisce la natura pubblica dei servizi sociali, in coerenza con il D.Lgs. 165/2001.
Anche la Corte dei Conti, spiegano, ha confermato che gli enti pubblici possono assumere personale senza ricorrere a modelli economici.
Per questo le tre sigle chiedono di fermare il percorso di trasformazione e di aprire un tavolo di confronto con gli amministratori locali.
«Non siamo contrari all’efficienza ,ha precisato Geri ,ma crediamo che la qualità dei servizi passi dal pubblico, non dal profitto».
Se non arriveranno risposte, i sindacati annunciano nuove iniziative di mobilitazione nelle prossime settimane.
