Serata magica con I Virtuosi Italiani tra Morricone, Rota e Piazzolla

(di Ganni Schicchi) Se vuoi impostare un concerto in cui il bandoneon regga la parte solistica ti devi affidare solo ad uno strumentista di vaglia. E oggi in giro non ne trovi molti. Ecco allora I Virtuosi Italiani confrontarsi per la prima volta col chietino Mario Stefano Pietrordarchi, un concertista dal curriculum importante, che con l’identico programma di sala del Teatro Ristori si è già affermato nel giugno scorso assieme ai Solisti di Pavia, riscuotendo un buon successo. 

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Con l’occasione veronese forse è anche nata una sua proficua collaborazione con I Virtuosi Italiani (Pietrodarchi dialogando col pubblico ha ricordato di averlo sempre sperato, fin da giovane leggendo una rivista di musica che riportava in copertina una foto dell’orchestra veronese) avvalorata poi anche dai risultati conseguiti nell’esecuzione al Ristori, dove erano in programma tre autori dal forte richiamo, come Ennio Morricone, Nino Rota e Astor Piazzolla. Ma l’attenzione era pure rivolta ad una novità assoluta: la brillante Suite Mediterranea del trentino Roberto Di Marino, dedicata esplicitamente proprio a Pietrodarchi. 

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Un programma dunque quasi tutto novecentesco, a ritroso dagli anni ottanta alla prima metà del secolo, con I Virtuosi Italiani – svincolati da affratellanti messaggi umani, ma ispirati da altrettanti non meno nobili – a suonare con una mobilissima imprevedibilità agogica, l’abituale ammaliante timbrica, la virtuosistica disinvoltura e un impensato camaleontismo stilistico. 

Il concerto è iniziato con un medley di arrangiamenti di Morricone (Nuovo Cinema Paradiso, Mission, C’era una volta il west), quasi a significare del celebre compositore una sua integrazione profonda tra vita e musica, un dialogo costante e imprevedibile tra il suo vissuto e il suo processo creativo, ma in una costante esplorazione del linguaggio musicale, dove la musica sembra essere stata sempre frutto del pensare, dell’agire e delle pratiche di molte persone assieme. 

Ế significativo che l’orchestra veronese sia poi ricorsa ancora una volta alla poetica del tutto autonoma di Nino Rota, che asseconda in toto la peculiare facilità inventiva come nella creazione di colonne per film tra cui emergono alcune delle più riuscite, per ricchezza melodica e vivacità timbrica, vedi quelle composte per i film di Federico Fellini, come Amarcord, La dolce vita, Otto e mezzo, di cui gli esecutori hanno prodotto un saggio smagliante.

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Il Bandoneon protagonista nei tanghi di Piazzolla

Si è finito con i tanghi di Astor Piazzolla, dove il bandoneon l’ha fatta da padrone assoluto. L’11 marzo 2021, se fosse stato ancora su questo pianeta, Piazzolla avrebbe compiuto cento anni. E di sicuro, col carattere forte e a tratti anche un po’ sprezzante che si ritrovava, avrebbe avuto, come gli era abituale, sia argomenti polemici, sia insospettabili parole d’affetto per i colleghi e per la musica che gli girava attorno. Qui Mario Stefano Pietrodarchi ha potuto reggere (perfino con una certa gigioneria) la parte solistica del bandoneon in un asciutto e rilucidato comparto di tanghi (Soledad, Adios Nonino, Oblivion Sur, Le Grand Tango) dove si è fatto maestro di danze, di profumi, mollezze, nostalgie.

Il solista chietino che ha diretto l’intero concerto ha saputo trarre dal suo bandoneon e in una occasione anche dalla fisarmonica, capacità sonore e timbriche uniche, creando suoni nuovi e dal fascino seducente, dove ha profuso anche tutte le sue doti di tecnica agguerrita, di gusto e di intelligente sensibilità. Serata magica al Ristori accolta da sonore ovazioni del pubblico e premiate con due bis, ancora di Piazzolla con Grand Tango (nella versione originale per quintetto) e con un tema del georgiano Gija Kancheli che I Virtuosi Italiani commemoreranno a breve in un apposito concerto.