(Giorgio Massignan) La città contemporanea è stata realizzata sulla base della rendita fondiaria, seguendo le tendenze strettamente specialistiche, tecniciste e funzionali, provocando la separazione dell’uomo dai cicli naturali e causando il degrado ambientale, la disgregazione sociale e la conseguente ghettizzazione.
L’urbanistica, troppo spesso, è stata limitata alla sola tecnica ingegneristica e, non di rado, per giustificare soluzioni prese dai responsabili politici ed economici, non attinenti alle reali esigenze della comunità ma agli interessi dei decisori e dei propri “amici”.
L’Italia è la nazione europea con il più importante patrimonio paesaggistico e con il più alto rischio di dissesto idrogeologico; ha una densità di popolazione pari a 206 abitanti per chilometro quadrato mentre la media europea è di 113 e quella del pianeta 48.
Considerato che il nostro Paese è formato per circa il 35% da montagne, per circa il 42% da colline e per circa il 23% da pianure, la salvaguardia del suolo dovrebbe rappresentare un preciso dovere, tutelato da apposite leggi.
Ma non è così, anzi, è proprio il contrario.
Purtroppo, il suolo non è percepito come una risorsa esauribile ma come terreno in attesa di essere edificato.
Oltre mezzo secolo di pianificazione dissennata, di cementificazione del territorio, di disboscamento, di canalizzazione dei corsi d’acqua e di abusivismo edilizio, hanno causato un grave dissesto idrogeologico che, durante le intense precipitazioni piovose, causate dai mutamenti climatici, rendono la nostra nazione ad alto rischio per i disastri naturali.
Nonostante alcuni urbanisti sostengano, da anni, che è indispensabile bloccare l’espansione urbana, a livello legislativo, si è fatto ben poco e si continua a perseguire un vecchio modello di sviluppo che sta devastando l’ambiente, mettendo a rischio l’equilibrio idrogeologico, riducendo la nostra autonomia alimentare e danneggiando la biodiversità.
Risulta indispensabile e indifferibile che il settore urbanistico ed edilizio superi il concetto del profitto a tutto campo, per introdurre i valori della sostenibilità, dell’equità, della tutela ecologica e della solidarietà.
Il Veneto, con 217.744 ettari trasformati in edificabili, è risultato la 2ªregione d’Italia, dopo la Lombardia, per quantità di suolo consumato.
Nello spazio di un anno, dal 2019 al 2020, sono spariti 682 ettari di verde.
Una città cementificata con 17 mila appartamenti vuoti
Verona, da un rapporto Ispra, nel 2019 è stata la città italiana con il maggior numero di ettari consumati, e nel 2020 aveva cementificato 166 ettari in più rispetto al 2019; nel 2023 è risultata la seconda, con 296 ettari impermeabilizzati.
Inoltre, il territorio del comune di Verona ha una percentuale di verde urbano inferiore al 5% e un numero di zone protette fra le più basse in assoluto.
Nel 2020 la provincia di Verona è stata la seconda nel Veneto per consumo di superficie agricola, con 41.199 ettari, dietro a Treviso e davanti a Padova.
Il territorio veronese per il 13% è coperto di cemento e asfalto, risultando uno dei più costruiti della nazione.
Numeri che contrastano con gli oltre 70 mila appartamenti non occupati nell’intera provincia, dei quali, circa 17 mila nel solo comune di Verona, e con le molte aree industriali dismesse.
Si tratta di un grosso patrimonio edilizio che sta occupando terreno prezioso e che andrebbe rigenerato.
Si rende necessario interrompere il rapporto tra la politica e gli affari che ha determinato le scelte urbanistiche e iniziare una vera pianificazione territoriale partecipata.
