(Francesca Romana Riello) Olimpiadi e arte, Verona lascia il segno già nel modo in cui la città si prepara ad accogliere l’arrivo delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi, trasformando quello che potrebbe sembrare solo un grande evento sportivo in un’occasione più ampia, quasi un momento di apertura. I territori cambiano pelle, diventano palcoscenici vivi, attraversati da storie che si intrecciano e si allargano, e Verona prova a far dialogare sport e cultura senza forzature, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Il valore simbolico delle cerimonie
Le cerimonie hanno questa capacità strana: prendono l’immaginazione e la trascinano altrove. Le immagini diventano metafore, le metafore diventano memoria. E alla fine restano i valori, inclusione, coraggio, determinazione, rispetto, che sono poi gli stessi che l’arte riesce a custodire meglio di chiunque altro.
Verona parte da qui, da un’idea semplice: far sì che lo sport lasci un racconto, e non solo un ricordo veloce.
Chi vuole capire come la città stia lavorando sui propri spazi culturali può trovare qui un articolo dell’Adige dedicato al tema.
Una città che guarda oltre le Olimpiadi
In questo clima un po’ sospeso, un po’ elettrico, la città affida all’artista veronese Federico Ferrarini un’opera pensata per restare. Non per fare da cornice all’evento, ma per superarlo. “BeYond Barrier” nasce proprio così: come qualcosa che non si consuma una volta spente le luci.
Sarà installata in piazza Bra, davanti al monumento alle Vittime della Guerra, in un punto che la renderà visibile da ogni lato. È una scelta che pesa, che dice già molto.
Realizzata in pietra naturale, unisce marmo rosso di Verona e pietra di Prun a materiali provenienti da altre parti del mondo. I cinque cerchi olimpici, con i colori ufficiali, si sovrappongono come un abbraccio tra continenti. Tradizione e universalità che si incontrano, senza troppe parole.
Per chi è curioso dei materiali, una panoramica tecnica è disponibile su Marmomac.
Un’opera che parla la lingua di Verona
L’opera è imponente senza essere invadente: due metri d’altezza, quasi quattro di larghezza, un metro e mezzo di profondità. Sta lì, dentro i giardini della Bra, come se cercasse di raccontare qualcosa della città.
A supportarne la realizzazione c’è anche Veronafiere Il presidente Federico Bricolo lo dice con naturalezza: “Siamo orgogliosi di affiancare il Comune in un progetto che unisce sport, arte e identità del territorio. BeYond Barrier è un simbolo di inclusione e dialogo con il mondo, ma anche un omaggio alla nostra tradizione lapidea, la stessa che valorizziamo con Marmomac. Vederla in piazza Bra significa trasformare lo spirito delle Olimpiadi e Paralimpiadi in un lascito concreto”.
In fondo, il punto è proprio questo: gli eventi passano in fretta, le cerimonie anche. Ma quando lasciano un segno, quando entrano nel paesaggio urbano e nella memoria di chi lo abita, diventano altro. Diventano un’eredità.
E Verona, scegliendo l’arte per raccontare le Olimpiadi e le Paralimpiadi, sta già parlando al futuro. Anche senza dirlo troppo forte.

