Antonio Balesta nel segno della grazia

Già nella grande mostra allestita da Licisco Magagnato alla Gran Guardia nel 1978, “La pittura a Verona tra Sei e Settecento”, Antonio Balestra (1666-1740), artista veronese di nascita, aveva avuto un posto d’onore. Ora, nel 350° anniversario della nascita, alla luce della scoperta di nuove opere e con l’avanzare degli studi, Antonio Balestra diviene, per la prima volta e fino al prossimo 19 febbraio, assoluto protagonista di una elegante mostra in Sala Boggian del Museo di Castelvecchio, titolata “Antonio Balestra-nel segno della grazia” aperta fino a 19 febbraio. L’esposizione, promossa dal Comune di Verona-Musei d’Arte e Monumenti, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Verona, Rovigo e Vicenza, è curata, sotto la [//]direzione di Margherita Bolla alla guida del museo, dallo studioso di pittura e scultura venete del Sei e Settecento, Andrea Tomezzoli, con la collaborazione di Ilaria Turri. Prosegue così degnamente la tradizione delle esposizioni dedicate a importanti artisti veronesi o che hanno operato in città, organizzate dal Museo di Castelvecchio, Le opere esposte, articolate in otto sezioni, sono una sessantina – dipinti, disegni, incisioni e illustrazioni librarie – a documentare la multiforme personalità di Balestra che, dalla natia Verona, tra il 1691 al 1695, si spostò a Roma per frequentare la scuola del più importante pittore del tempo, Carlo Maratti, studiare la statuaria antica, i dipinti di Raffaello e di Annibale Carracci, oltre che di più moderni autori quali Pietro da Cortona. La sua formazione lo portò inoltre in Lombardia ed Emilia, soprattutto per conoscere Correggio, il pittore del Cinquecento più amato dai colleghi settecenteschi. Soltanto nel 1718, dopo lunghi soggiorni anche a Venezia dove contribuì in maniera significativa allo sviluppo della pittura lagunare ed europea, Balestra, all’apice del successo, fece definitivamente ritorno a Verona. Egli aveva grande fama anche quale maestro (“eccellente maestro” lo aveva definito Anton Maria Zanetti nel 1771). Tra gli allievi, troviamo in effetti future celebrità del calibro di Pietro Longhi. L’allestimento della mostra, su progetto di Alba Di Lieto con Ketty Bertolaso e con la collaborazione di Federico Puggioni, usufruisce, in armonioso dialogo e con felice scelta, di elementi realizzati per esposizioni precedenti, come i pannelli disegnati da Carlo Scarpa negli anni Settanta e, per i pezzi di grafica e di dimensioni più contenute, degli espositori progettati da Maxime Ketoff per Pisanello nel 1996, oltre che delle bacheche realizzate da Alba Di Lieto nel 1999 per l’esposizione “Disegni”. E, a proposito di grafica, alla quale viene dato un interessante rilievo per sottolineare l’importanza della forma e del disegno nella pittura dell’artista veronese, nella sezione 5 si può ammirare un cospicuo gruppo di disegni (anche per l’editoria) concesso dalla Biblioteca Palatina di Parma, mai esposto prima al pubblico, che consente continui rimandi tra quadri e disegni, studi preparatori e opere finite. Rimarchevole, inoltre, il monumentale disegno “La caduta dei Giganti” con il quale Balestra, nel 1694, vinse il concorso per la classe di pittura bandito dall’Accademia di San Luca, della quale fu poi, nel 1725, nominato “accademico di merito”. Le incisioni, invece, esposte nella sezione 8 sono dell’allievo Pietro Rotari. Traspongono in bianco e nero alcune creazioni pittoriche di Balestra, testimoniando con la loro diffusione il grande successo del pittore, che riceveva importanti committenze non soltanto nella città natale. A Verona, autentici capolavori sono le due pale esposte nella seconda sezione, l’“Annunciazione” del 1702 (restaurata per l’occasione dal laboratorio della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Verona) e lo “Sposalizio mistico di Santa Caterina”, del 1719, eseguite, rispettivamente, per la chiesa di San Tommaso Cantuariense e per Santa Maria in Organo. Raffinati esempi di una devozione tenera e sottilmente commossa, ammantata in delicati cromatismi, prevalentemente pastello. Una tenerezza partecipativa che informa anche le opere profane, ispirate al mito classico che tanto piaceva ai collezionisti privati di tutta Europa. A uno di questi, Hugo Du Bois, potente direttore della Camera di Rotterdam della Compagnia delle Indie Orientali, nel 1717 Balestra inviò un ciclo di sei grandi tele, protagoniste alcune eroine mitiche. A questo ciclo si ipotizza appartenessero anche le due tele esposte nella sezione quarta, “Teti nella fucina di Vulcano”, resa nota da Egidio Martini nel 1992, e “Teti immerge Achille nell’acqua dello Stige”, presentata per la prima volta al pubblico. E’ un mondo arcadico di intatta felicità, eterna perfezione e giovinezza; anzi, adolescenza. Dove la luce e il colore non hanno ombre né sfumature e le forme sono tornite con grazia leggera. Il passaggio dal Barocco al gusto più frizzante e leggero del Settecento è compiuto. Innovativo e originale il suggello impressovi da Antonio Balestra. Ad anticipare idealmente il tema del cambiamento di gusto, emblematici i due autoritratti, entrambi provenienti dagli Uffizi, con i quali si apre la mostra: quello del “maestro” Carlo Maratti e quello dell’“allievo” Antonio Balestra (dipinto nel 1718 per Cosimo III de’ Medici). Da non dimenticare, inoltre, il duraturo e consolidato rapporto che i Gesuiti tennero con Antonio Balestra (loro allievo e, soprattutto, esponente di un linguaggio pittorico congeniale alle loro finalità divulgative) tanto da far assurgere l’artista a principale propugnatore della loro propaganda visiva. “Miracoli di Sant’Ignazio”, conservato al Museo degli affreschi G.B.Cavalvaselle”, esposto in mostra, ne è un tipico esempio. Il catalogo, curato da Andrea Tomezzoli e edito in elegante veste da Scripta Edizioni, è ulteriore importante ausilio di approfondimento della figura e l’opera di Antonio Balestra, con saggi di Chiara Bombardini, Paolo Delorenzi, Massimo Favilla, Rodolfo Maffeis, Giorgio Marini, Ruggero Rugolo, Chiara Scardellato, Guglielmo Stangherlin, Andrea Tomezzoli, Denis Ton, oltre che del curatore. (Franca Barbuggiani)

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