Giorgia Meloni come Margaret Thatcher, tornano le privatizzazioni: si vende per non fallire

(di Bulldog) Giorgia Meloni, sempre più Margaret Thatcher che Evita Peron, ha riaperto ufficialmente la stagione delle privatizzazioni in Italia. Una scelta da vera conservatrice europea. Infatti, non è un passaggio semplice per una politica che nasce in un movimento erede diretto della stagione delle “grandi imprese di Stato” che, generate nel Ventennio, sopravvissute al “regime change“, sono state la colonna vertebrale del boom economico degli anni Sessanta.

Le ragioni della vendita di quote degli asset pubblici – una aliquota di appena 20 miliardi – stanno tutte nell’enorme debito pubblico generato negli ultimi anni dai governi italiani. Il grafico della nostra redazione è chiaro: nel 2005 avevamo mille500 miliardi di debito, oggi – 19 anni dopo – questo debito è raddoppiato: a fine 2024 arriveremo a 3mila miliardi con buona pace del futuro dei nostri figli.

Meloni, chi ha creato il debito pubblico

Potete vedere chiaramente chi ha generato questo debito: chi poteva intervenire, e non lo ha fatto, e chi chiamato a risanare, tale Mario Monti, ci ha aggiunto del suo: ben 173 miliardi in più di quel matto di Silvio Berlusconi che ha sostituito per il bene della Nazione.

Nel periodo 2005-2023, 19 anni, il centrodestra ha governato per sette anni; tre li hanno fatti i tecnici, nove il centrosinistra. Abbiamo avuto la bellezza di 22 governi e nove presidenti del Consiglio diversi. Il solo centrosinistra ha goduto di un periodo di governo sufficientemente ampio per poter affrontare la riduzione del debito che, in virtù del trattato di Maastricht da noi liberamente e convintamente firmato, dovrebbe restare sotto la fatidica soglia del 120% in rapporto al Pil. In questi 19 anni, soltanto in sette anni siamo rimasti al di sotto di questa soglia. A sfondare quel tetto fu Mario Monti nel 2012 e da allora si è perso ogni freno alla sua crescita.

Meloni, quasi mille miliardi in più da pagare dal 2011

Dall’ultimo governo di centrodestra ad oggi, da Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni, il debito è cresciuto di 962 miliardi (un anno di sanità costa oggi 136 miliardi, tanto per capirci). A cosa sono serviti tutti questi soldi?

Dato che il PIL è cresciuto poco (appena 343 miliardi nello stesso periodo) e dato che non vediamo cose spaziali nei nostri cortili vuol dire banalmente che sono serviti a marchette elettorali, a pagare pensioni che in molti casi non avevano un monte contributivo adeguato, a bonus fiscali che ogni anno costano fra i 70 ed i 90 miliardi. Sarà un caso, ma Giuseppe Conte – il premier che ha sconfitto la povertà – è riuscito a far salire il debito di 20 punti percentuali. Certo, di mezzo ha avuto l’epidemia Covid da gestire: 160 miliardi secchi di spese in più a fronte del crollo del PIL di 141 miliardi. Sono 300 miliardi di sbilancio che avrebbero sfiancato chiunque, onestamente.

Giorgia Meloni ha già recuperato 12 punti percentuali sul record negativo di Conte – dal 154% sul PIL al 142 – ma ogni anno deve pagare 85 miliardi di interessi passivi che impediscono di fare qualsiasi nuovo investimento. In più c’è la revisione delle regole contabili dell’Unione e, nuovamente, l’Italia è nei Paesi con più debito pubblico.

Allora le strade sono due: o si vende qualcosa del patrimonio oppure si va direttamente alla patrimoniale che può essere sotto forma di prelievo forzoso dai conti correnti degli Italiani oppure una nuova tassazione delle case. Dato che alimenterebbero un’immediata fuga di capitali resta una via più soft ma non meno dolorosa: la cessione degli asset – nell’infografica Corriere della Sera qui sopra li vedete tutti – e la revisione costante al ribasso delle “spese fiscali” ovvero i tanti bonus che alleggeriscono le nostre denunce dei redditi, ma affossano il bilancio pubblico.

Giorgia Meloni, vendere e ridurre ancora le spese fiscali

Il netto ricavato deve andare però a ridurre immediatamente il debito, non rinnovando titoli di Stato in scadenza, e le cessioni dovrebbero favorire l’apertura del mercato salvaguardando le imprese strategiche nazionali. Non si capisce infatti perchè lo Stato debba fare l’editore televisivo o fare l’immobiliarista dell’Eur o i fil a Cinecittà. Perchè tenga il 100% delle Ferrovie e contemporaneamente paghi per il trasporto pubblico locale senza sviluppare sinergie e riduzione dei costi pubblici. Perchè diamine gestisca una compagnia aerea che è già costata decine di miliardi ai contribuenti.

Per i risparmiatori italiani (che hanno in banca molto più del debito pubblico nazionale: ovvero abbiamo cittadini ricchi e uno Stato povero) farebbero bene a credere nella nuova stagioni di privatizzazione e diventare azionisti.

Bene fa il governo Meloni a vendere. Anche per avere risorse in mano per salvare l’acciaio italiano senza il quale la seconda manifattura d’Europa – l’Italia – rischia di essere meno sovrana. Questa, la forza del tessuto produttivo, è in fondo la grande differenza con Margaret Thatcher. Ed è tutta a vantaggio del premier italiano: Meloni ha le industrie. La Thatcher aveva solo l’orgoglio.

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