«La politica estera diventa interna»

Il rientro dall’Iraq delle nostre truppe rappresenta un fatto di politica internazionale o di politica interna? E’ inserito in un contesto strategico generale o esprime un confronto politico peraltro già superato? Si discute sulla differenza tra la fine di ottobre, annunciato dal Governo Berlusconi e l’inizio di ottobre di Prodi e D’Alema: cose ridicole se non fossero drammatiche. L’Onu, sempre evocata quanto si vuole giustificare una “presenza del diritto internazionale, questa volta – come spesso – è come non ci fosse. [//]Le ragioni dell’Onu che motivavano la presenza delle truppe di “governo della pace” non vengono riflettute, non si chiede all’Onu se le condizioni per il ritiro creino difficoltà e se quelle sul terreno siano mutate. Forse si vuol far dimenticare che le “truppe di occupazione” sono là anche per conto della Comunità internazionale.
La “sporca guerra” irachena (ma quale guerra non è sporca?) sembra mutare le sue fasi, ma non finire. Si afferma che nella gara tra il numero dei morti causati dalla repressiva dittatura di Saddam e quelli della liberazione successiva, si rischia di non avere vincitori né vinti.
Nel quadro strategico dell’area, con i problemi di Iran, Pakistan e Afghanistan – per non dire altro – qualcuno potrebbe rimpiangere il satrapo crudele, che teneva tutto sotto controllo.
Sta di fatto che – nel frattempo – le dimostrazioni di forza e di arroganza di Al Quaeda hanno subìto un freno nell’area e altrove. Non sottovalutiamo certo quanto è avvenuto in Somalia ma non ci pare sia una operazione eterodiretta, quanto piuttosto la fine di un sistema lacerato, corrotto, militarizzato, faunistico e tribale, che è crollato sostanzialmente da solo.
Anche qui qualcuno rimpiange Siad Barre. I problemi, sullo scenario internazionale sono molti, troppi: a dimostrazione che la politica o è internazionale o non è.
Ma è giocata tutta all’interno e strumentalizzata alle esigenze di parte. Basti pensare alla tematica della pace, agli equivoci che sottende, al pacifismo progressista tanto in auge imperante l’Unione Sovietica, ed a quello di tradizione cattolica, che – pur così diverso – a quell’altro spesso si collega. Mentre il mondo guarda con angoscia ai vari teatri di guerra, di conflitto, di scontri interni, di pericoli di crisi energetica e di rincorsa atomica, ci pare giusto che una Senatrice di Rifondazione Comunista chieda di eliminare le Frecce tricolori che “inquinano, fanno rumore e costano”. Ancor più giusto appare che questa fosse la candidata della maggioranza (che esprime D’Alema Ministro degli Esteri e Parisi – già cadetto alla Nunziatella – alla Difesa) per fare la Presidente della Commissione Difesa.
Il problema non è personale.
La Senatrice Menapace è una persona colta, raffinata nei suoi estremismi, intelligente, con una lunga esperienza che l’ha portata dalla carica di Segretario provinciale della DC di Bolzano, via via fino al Manifesto, a posizioni extraparlamentari fino al “rientro” con Rifondazione Comunista. Non è quindi la persona da esaminare ma la politica che autorevolmente rappresenta, nella quale il quadro internazionale viene discusso in piazza all’ombra delle bandiere arcobaleno (mutazione moderna delle bandiere rosse), ma con uno scenario in bianco e nero, da film neorealista. Ma il mondo non è in bianco e nero, è una scala di grigi, con bagliori rosso fuoco e bianchi luttuosi. Anche questa maggioranza è una scala di grigi, per quanto almeno in politica estera, difficilmente potrà esprimere, tutta insieme e con le stesse modalità, la politica arcobaleno del distintivo del Presidente della Camera. Non tanto per ragioni di politica internazionale quanto piuttosto di politica interna, alla stessa maggioranza.

L’Adige, 10 Giugno 2006, pagg. 1 e 2

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