L’abolizione del reato d’abuso d’ufficio è cosa buona e giusta

(di Mario Marino) Appena si è iniziato a discutere dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, è partita la narrazione delle sciagure che ne conseguiranno: l’Europa ci incenerirà; le Procure saranno defraudate del “reato-spia” -lo chiamano così- per beccare mafiosi all’opera sotto traccia; i pubblici amministratori potranno tornare a fare il bello ed il cattivo tempo. Ma i numeri dicono altro. Questo reato fa registrare solo il 3% di condanne. Nel 2021, 4.465 su 5.418 procedimenti “abuso d’ufficio” si sono conclusi in udienza preliminare o in udienze col rito abbreviato con un decreto di archiviazioneper ragioni diverse dalla prescrizione”. 
Il governo Meloni ha di fatto stoppato l’iniziativa del guardasigilli Carlo Nordio. Cominciamo nel dire che come reato “è una sublimazione patologica dell’atto amministrativo, illegittimo per vari motivi”, con la conseguenza di una burocrazia difensiva. Il reato, già alleggerito con il decreto Semplificazioni nel 2020, scatta a causa del combinato disposto con la legge Severino, che obbliga la sospensione di sindaci e governatori in caso di condanna di primo grado, anche se la presunzione di non colpevolezza è fino al terzo grado di giudizio.
Intanto, però, sgomberiamo il campo dalle suggestioni, secondo le quali senza il reato d’abuso d’ufficio i pubblici ufficiali potranno impunemente abusare del loro potere, in una sorta di nuovo bengodi dell’arbitrio. Le condotte di abuso della funzione e del potere da parte dei pubblici ufficiali sono punite severamente nel nostro Paese, ben più che in Europa, e continueranno pacificamente ad esserlo. Abusa dei propri poteri e delle proprie funzioni il Pubblico ufficiale che si fa corrompere, che concute, che commette peculato o malversazione, e così continuerà ad essere.

La norma di cui stiamo discutendo è l’abuso, per capirci, in purezza. Un abuso che non è concussione, non è corruzione, non è peculato, non è malversazione, non è traffico di influenze. Non è, insomma. Non sappiamo esattamente cosa sia, sappiamo cosa non è.

Non un buon viatico per il precetto penale, che la Costituzione pretende sia chiaramente descrittivo di una condotta tipica, non deducibile per sottrazione. Si obietta: ma allora il sindaco che assume senza titolo l’amante? Il commissario del concorso pubblico che favorisce il nipote? Ebbene, se queste condotte sono commesse senza corrispettivi illeciti e senza condotte fraudolente (nel qual caso si risponderà di quei reati ben più gravi), ci troveremo di fronte ad atti illegittimi. Ci si rivolgerà allora al giudice amministrativo per il loro annullamento e per i danni, se ve ne sono i presupposti.

In questo Paese, non riusciamo ad imparare un principio molto semplice: non tutti i comportamenti riprovevoli o illegittimi devono necessariamente integrare una fattispecie di reato per essere perseguiti. Tutto qui. Confidiamo nella determinazione di Nordio e nella promessa di Meloni di riformare la giustizia in senso garantista.

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