Trent’anni fa Tangentopoli. Ma non chiamatela rivoluzione. A conti fatti sono stati più i danni dei benefici.

In questi giorni vengono ricordati i trent’anni da Tangentopoli. Fu un evento storico. Cambiò l’Italia. E siccome gli italiani hanno una particolare inclinazione per le commemorazioni, si commemora anche questa specie di rivoluzione anche se non fu una rivoluzione. Non s’è mai vista una rivoluzione gestita dal potere, quello giudiziario. Ma, ammettiamolo, vi fu fra il 1992 e il 1994, anche il coinvolgimento popolare. Reazione al malcostume diffuso delle tangenti. Così quando Di Pietro e il pool di Mani Pulite iniziò a fare pulizia cominciando dal Pio Albergo Trivulzio e procedendo fino ai massimi livelli romani, passando anche da Verona, che fu la seconda città investita da Tangentopoli, la gente appoggiò l’azione dei magistrati. In buonafede tutti pensavamo che un po’ di pulizia non avrebbe fatto che bene. 

Ma se proprio vogliono chiamare Tangentopoli “rivoluzione”, è stata una rivoluzione tradita. Dopo trent’anni possiamo dire che ha fatto più danni che benefici. E il riferimento non è ai suicidi o alle persone finite dentro e poi scagionate, come troppo spesso avviene ad opera dei giudici che solo nel 2021 hanno provocato 37 milioni di euro di danni per ingiuste detenzioni che dovremo sborsare tutti noi perché loro non sono responsabili per legge.

Il riferimento è ai danni politici che ne sono conseguiti. 

Primo fra tutti lo squilibrio fra i poteri dello Stato. Da allora il potere giudiziario è uscito dai propri limiti e ha invaso lo spazio degli altri due. Grave errore è stato l’abolizione dell’immunità parlamentare che lo ha permesso. E con Tangentopoli s’è politicizzata la Magistratura e molti giudici con le sentenze si sono sostituiti al potere legislativo. E questo non va bene. 

Secondo danno è stata la distruzione dei partiti, elemento fondamentale nella democrazia rappresentativa. Una volta annientati – a parte il Msi che era stato esente dalla corruzione- se ne sono formati di nuovi, ma privi delle caratteristiche che deve avere un partito: democrazia interna, partecipazione, dibattito, preparazione dei rappresentanti. Conseguenza: non è più la politica a decidere, ma l’economia. Il che significa che, con tutti i difetti che poteva avere la 1^ Repubblica, prima era il popolo a esercitare la sovranità, oggi sono le lobbies e i gruppi di potere finanziario.

Ma – uno si chiede ascoltando una delle tante commemorazioni- almeno non si ruba più? No, si ruba ancora. Solo che allora prendevano le tangenti per i partiti, e magari qualcosa, chi più chi meno, rimaneva attaccato alle mani di questo o quel politico. Adesso, chi ruba, lo fa per sé stesso. E i soldi se li tiene. 

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