(di Gianni Schicchi) Uri Caine è un pianista unico nel panorama jazzistico mondiale, dalla flessibile e raffinata cultura nel combinare, come pochissimi al mondo, frequentazioni jazzistiche con approfondite variazioni di brani musicali tratti da qualunque repertorio degli ultimi cinque secoli. Una personalità musicale apertissima e sempre pronta a travalicare i confini di tutti i generi.

Ne è già stata testimonianza quella sua seconda incisione discografica rimasta nella storia, contenente una citazione dalla Prima Sinfonia di Mahler che lo ha portato poi ad immergersi profondamente nella musica del grande compositore tedesco. Il risultato creò poi la colonna sonora di un film documentario per la regia di Franz Winter, Urlicht/Primal Light che indica nuove direzioni nella rilettura di un repertorio classico, ricca di intelligenza, cultura e soprattutto di grande rispetto e amore per le partiture originali, senza impedirne una forte personalizzazione.

uri caine

Il pianista americano è tornato a proporsi giovedì sera con I Virtuosi Italiani al Teatro Ristori, in un programma sicuramente accattivante in cui figurano due brani trascritti e reinterpretati, come “Si dolce è il tormento” tra i madrigali più conosciuti di Monteverdi e le “Variazioni per pianoforte e archi su tema di Haendel” composte da Brahms. 

Con Monteverdi, Caine contribuisce a creare un dolce affresco sonoro, attento a rendere il mondo poetico degli “affetti”, tanto caro ad un tipo di madrigale destinato a raffinati intenditori. Ma subito dopo gli affianca due personali composizioni: Concerto in tre movimenti, con un notevole e tonale Adagio che viene bissato al termine, e Fiore di Montagna da Summer Lightyning di chiaro sapore mozartiano. Il finale della serata poggia poi sulle travolgenti variazioni di Brahms, dove il tema dominante è tratto da un pezzo (Aria con variazioni) estratto dalla prima delle nove suite per clavicembalo di Haendel.

Un grande e tumultuoso finale in cui l’esecuzione di Caine mira a creare un ponte ideale tra le composizioni haendeliane e il mondo brahmsiano, caratterizzato da uno sguardo insistito verso il passato, una sorta di arcaismo che trova il suo culmine nella Fuga con cui si chiude la composizione o nella diciannovesima variazione, con la didascalia leggero e vivace: una siciliana che potrebbe quasi appartenere ad una raccolta di danze antiche.

Sono esecuzioni trasparenti, sempre caratterizzate da un suono pieno, dal magistrale legato e dalla pregnante fantasia coloristica, dove non mancano mai incursioni jazzistiche, del quale Caine mette in luce la ricercatezza della scrittura, l’evidente ripensamento del mondo musicale barocco, la ricerca del suono – basterebbe ascoltare quello da carillon della ventiduesima variazione, ipnotico, quasi da celesta. Esecuzioni magistrali – fra tutte la sbalorditiva fuga (bissata) con cui si chiudono le Variazioni di Brahms – che hanno meritato il massimo dell’attenzione a testimonianza della sorprendente maturità raggiunta dal pianista americano.

In apertura di serata I Virtuosi Italiani hanno proposto una pagina ben conosciuta: il Concerto per archi di Rota – in cui il compositore principe di Federico Fellini conserva il candore del musicista fidente nei mezzi espressivi – pagina di una particolare articolazione melodica. Tutto è descritto in maniera lucida, talvolta con grazia settecentesca, altrove con rigore contrappuntistico, abbandono anche a momenti di quiete, solare, placida. Notevole l’abilità di dialogare tra strumenti e del vero e proprio gioco musicale tra le parti, per le quali la melodia si sposta o si contrappone ai singoli timbri.

Magnifica l’interpretazione de I Virtuosi che sanno trarre dai loro archi capacità sonore e timbriche uniche, creando suoni nuovi, quasi riconducibili alla voce umana. Si apprezzano il bel vibrato, l’arcata sicura e l’intonazione pressoché perfetta, ma anche un suono rotondo e vellutato, di un certo fascino e flessibilità aderente allo spirito rotiano.