Alla fine ci stanno credendo pure loro. I moderati del Centrodestra iniziano a credere che, davvero, c’è qualcosa che non va nei loro processi decisionali. Che rispetto al Centrosinistra, vi sia un gap di credibilità che mina ogni progetto di riconquista di Palazzo Barbieri[//]. Una sorta di maledizione che regna su Verona. Un po’ di verità – ammettiamolo – c’è: che si voti a fine maggio è oramai cosa nota ed è altrettanto noto che esistono due livelli per la definizione del candidato che deve sfidare Paolo Zanotto: quello locale, chiamato a far selezione ed a creare un minimo comune denominatore; quello nazionale che, alla fine, dovrà garantire a tutte le componenti della Casa delle Libertà la possibilità di presentare un proprio candidato col sostegno di tutta la coalizione. E questo vuol dire guardare a tutti i Comuni sotto elezioni e “dividerseli” cercando di piazzare i candidati giusti al posto giusto. Non è un’impresa facile per nessuno in politica. Però, niente di nuovo sotto il sole e niente che sia di offesa all’elettorato ed alla democrazia. Si è sempre fatto e sempre si farà, in Italia o ovunque vi siano sistemi elettorali che chiamano coalizioni o che vedono all’interno di un bipartitismo “perfetto” comunque differenziazioni precise. I Democratici statunitensi, ad esempio che debbono tener conto di almeno due anime e che debbono creare ticket elettorali che le salvaguardino entrambe. E allora? Cos’è questo continuo martellarsi gli attributi che sta appassionando la classe dirigente di Centrodestra e sta facendo il sogno dei commentatori politici e del Centrosinistra? A furia di leggere i retroscena sui giornali, ricchi di lotte intestine e fratricide il Centrodestra sta infatti abbandonando il suo obiettivo principale: che è trovare subito un accordo con la Lega per chiudere la partita al primo turno, al riparo della tendenza masochistica del suo elettorato di scegliere regolarmente il week end del ballottaggio per la prima scampagnata al mare della stagione. Che quest’anno – ma guarda un po’ – cascherà a metà giugno! Per chiudere con la Lega serve un accordo ovviamente politico con un candidato che passata la buriana elettorale, in caso di vittoria, abbia la capacità di guidare politicamente una coalizione. Quindi un politico, non l’ennesimo rappresentante della società civile. Tutte brave ed ottime persone, come dimostra la storia recente della città, ma tutte contraddistinte dall’incapacità di saper mediare e di considerare le esigenze della classe politica della loro stessa maggioranza. Tutti un po’ Napoleone, insomma – Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca! – in un’epoca dove però il bonapartismo ha iniziato a stufare… Ma poi: che c’è di male a proporre come candidato un esponente dei partiti e non un rappresentante della società? Che c’è di male nel difendere le prerogative di ogni singolo partito nella competizione legittima all’interno della CdL? E in fondo, dov’è lo scandalo se ai cinque dei partiti si aggiungono altre candidature esterne? E che male c’è se per definire un buon candidato ci si mette una settimana in più? In fin dei conti Mosele arrivò in zona Cesarini eppure “tenne” al Centrodestra i Palazzi Scaligeri, seppur in presenza di un’onda montante a sinistra. Certo, se il risultato di tanto discutere diventa un empasse che porta a ripetere il caos di cinque anni fa, allora è meglio passare il tempo a giocare a briscola, ma se a metà febbraio il Centrodestra ha un buon nome da spendere non sarà stato tempo sprecato. Eppoi, dall’altra parte cosa abbiamo? In realtà, cinque anni fa il Centrosinistra ha scelto un candidato, proveniente da un’associazione lobbyista e non dai partiti, dai quali si è tenuto rispettosamente lontano. Un nome arrivato al termine di un lungo braccio di ferro che ha funzionato per il passaggio nel Centrosinistra di un’aliquota determinante del Centrodestra. Un nome, e una figura, che ha difficoltà a parlare al popolo della Sinistra, cui non appartiene (celebre la sua fuga da Palazzo Barbieri pur di non confrontarsi coi ragazzi della Chimica durante il gay pride …). Guida una coalizione dove una parte consistente è già accusata (quella che fa capo a Gustavo Franchetto, per intenderci) di essere pronta a passare voti e bagagli dall’altra parte nel caso il candidato delle destre sia Massimo Ferro; dove un’ altra parte, più a sinistra ancora, medita se sia il caso o no di appoggiare un sindaco più in linea col cattolicesimo conservatore che non con l’area laica della società; dove due dei movimenti che l’hanno appoggiato nella prima elezione (Sironi e Brunelli) han già detto che non si spenderanno per una sua riconferma… Una coalizione così che sa già che non potrà parlare di nessun tema caldo – dai pacs, all’integrazione degli immigrati non cristiani, ai rom, a Veronetta ed agli affitti agli extracomunitari, al governo nazionale – per evitare di frammentarsi ancor più. Insomma, se il Centrodestra non deve sprecare tempo non ha neppure davanti una Invincibile Armada: le contraddizioni a sinistra non mancano e sembrano più profonde di quelle dei concorrenti. C’è però un rischio per il Centrodestra se continuerà ad eccedere nell’autoflagellazione: alla fine dell’autodafè il pericolo è di vedersi affibbiare – al di fuori del Centrodestra, tanto quello dei partiti che del suo elettorato – una candidatura “esterna” messa su e spinta al di fuori del circuito democratico, da qualche gruppo di potere interessato a condizionare il futuro sindaco nei prossimi cinque anni, in grado di approfittare della “sindrome di Stoccolma” dei partiti moderati veronesi. A cui tocca il compito di saper tener la schiena dritta: in fondo rappresentano il popolo sovrano, mica Topolino…