(a.p.) Mercoledì 14 maggio è stata inaugurata in via Fragiocondo una mostra fotografica itinerante che racconta, attraverso foto, documenti e lettere, la vita della comunità italiana in Crimea tra fine ‘800 e i giorni nostri.  «Gli Italiani in Crimea. Un genocidio dimenticato». Questo il titolo della mostra fotografica itinerante nella provincia di Verona, inaugurata ieri, alla presenza di un numeroso pubblico e rappresentanti delle Istituzioni comunali. 

L’introduzione storica e politica è stata fatta da Paolo Marconi, presidente del Comitato Tricolore degli Italiani nel Mondo sez. Verona. 

Alla presentazione ha partecipato anche Anna Parcelli Fedorova, ragazza ucraina laureata in ecologia e di origini italiane, che insieme ad altri due studenti ha svolto uno stage in Italia. La mostra ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e riportare alla luce la drammatica storia di migliaia di connazionali emigrati in Crimea, vittime dalla deportazione di massa del 1942 nei Gulag del Kazakhstan.

La comunità italiana in Crimea. Una mostra a Verona 

La comunità italiana in Crimea iniziò a formarsi in seguito alle emigrazioni degli anni ’20 del 1800, braccianti e uomini di mare si spostano dalla Puglia, in particolare dalle città di Trani e Bisceglie, per iniziare una nuova vita a Est. La maggior parte di loro si stabilisce nella città di Kerč’, sul Mar Nero, dove si crea una comunità di 30 famiglie che inizia a costruire strutture di aggregazione.

In seguito ad un afflusso di nuovi nuclei, composti anche da lavoratori specializzati e uomini qualificati, la comunità si allarga, inizia a popolare anche altre città, sia russe che ucraine. A Kerč’, un secolo dopo, circa il 2% della popolazione è composta da italiani immigrati e loro discendenti, una minoranza cattolica in un territorio totalmente ortodosso (a parte la minoranza musulmana dei tatari) che ha costruito le sue chiese, le sue scuole, la società corporativa, la biblioteca,  per perpetuare, lontano dalla patria, la sua cultura.

Con le purghe staliniane del ’35 e del ’38 verranno uccisi o deportati tutti i sospettati di attività controrivoluzionaria, e dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle truppe dell’Asse, le deportazioni a livello intensivo verso i gulag distrussero anche la comunità di Kerč’, i cui abitanti rimasti vennero dispersi nella steppa tra Akmolinsk e Karaganda, uccisi dalle durissime condizioni di vita e dalle temperature fra i 30 e i 40 gradi sotto zero. I pochissimi superstiti furono eliminati dalle sciabolate dei Cosacchi. Alla fine della guerra non esistevano più italiani in territorio russo o, meglio, ne esisteva una minima parte che nascondeva le proprie origini.

Con il tempo, timidi tentativi di svelarsi per potersi riunire, hanno reso possibile il ri-consolidamento di un piccolo nucleo, l’associazione C.E.R.K.I.O. (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea – Italiani di Origine, presieduta da Giulia Giacchetti Boico), con l’obiettivo di far valere i diritti della comunità e di far vedere riconosciuta l’ingiustizia subita. Nel 2014, il presidente Putin ha emanato un decreto per il riconoscimento dei crimini compiuti dal governo stalinista nei confronti delle minoranze etniche del territorio della Crimea, ed è stata compilata una lista comprendente il nome di 20 comunità. 

Grazie ad un dialogo tra il Putin e Berlusconi, durante una sua visita a Yalta gli interlocutori dell’associazione sono riusciti ad ottenere il riconoscimento tanto atteso. Un’ altro passo in avanti è stato il riconoscimento da parte del governo italiano, della loro cittadinanza d’ origine, anche se molto resta da fare.