(di Sebastiano Saglimbeni) Tempesta e sole si verificano sempre per la specie umana. Trattati, tempesta e sole, o sciagure e benessere materiale e morale, in infinite scritture remotissime, che, via via, eccelsero e così continuano ad apprendersi come quelle di Omero, dei tragici greci Eschilo, Euripide e Sofocle  riviventi  nei Teatri.

  Indimenticabili in Trinacria quel sole e quel pane  sino all’inizio del 1940. In seguito la tempesta della guerra che immiserì tutti, dai fanciulli ai vecchi. Buio e buio. I giovani in guerra, i vecchi aiutati dai ragazzi a zappare nelle misere terre di alcune comunità collinari proprie o di benestanti mentre nelle città distrutte  morti e  feriti. Non pochi gli sfollati nelle campagne dove la belva della guerra non era arrivata a distruggere.

tempesta e sole

Oggi, si sa, in diverse parti della Terra un’ennesima esplosione di morti, di povertà e malvagità. La Palestina e l’Ucraina sanguinanti. In Palestina, rasa al suolo, imperversa la fame. I ragazzetti superstiti tentano di afferrare, tra la folla che si accalca, con le tenere mani un po’ di cibo. Non un genocidio in questa terra da sempre funestata ma un olocausto. Per i pargoli innocenti di ovunque, trucidati, potrà solo risplendere il sole dell’eterno riposo.

Tempesta e sole

Attenuatasi quella miseria di quell’ultima guerra mondiale tanto l’espatrio del sud italico per il nord della penisola considerato invero più opulento e, a soldi in prestito, quello per gli Stati Uniti d’America, l’Argentina il Canada e il Venezuela. E per questi emigrati tempesta fuori dal proprio suolo per acclimatarsi e sole, una volta  assaggiato il lavoro. E danaro e famiglia e ritorni per poco nelle proprie terre rimaste desolate un tempo sostentamento con il grano, con i legumi, con le more di rovo,  il tenero dei cardi, le lustre ciliegie, i fichi, le pere e le noci. Non poche le campagne delle comunità, grandi e piccole, dall’anarchia vegetale. Tanto sud italico al nord: artigiani, operai, laureati tra tempesta e sole. Tempesta atmosferica ed attese penose, sole, una volta raggiunta certa indipendenza e benessere. Pure così all’estero. 

Non si può non pensare agli uomini creativi della Poesia, della Musica, della Scienza e di altro ideale. Pure per loro tempesta e sole. Giova, pertanto, per  questa nota ricordare due poeti di grande fama e, come tali, tanto letti e studiati nei loro Paesi e fuori. Trattasi dello spagnolo Federico García  Lorca  e del greco Ghiannis Ritsos. Il poeta spagnolo subì la tempesta di un regime dittatoriale e crudele. Nel fior degli anni venne assassinato assieme ad altri uomini sapienti e liberi.

Dopo la tempesta s’attende il sole

Risplendette per lui, grazie alla sua Poesia, il sole della fama.  Il poeta greco subì la dittatura dei colonnelli in quella sua famosa terra e venne ripetutamente incarcerato, torturato e deportato nei “campi di rieducazione nazionale” ma fortemente perseverò ad essere fedele ai suoi ideali di uomo libero e di giustizia. Il sole, dopo la tempesta, spuntò e fu per lui fama per l’enorme produzione poetica, non meno di quella del poeta andaluso. Si può pensare che i due poeti si siano proposti di muoversi in direzione della giustizia, dell’umiltà, dell’amore, della gloria e della morte.

E per un altro uomo della grande letteratura, Victor Hugo,  giorni di tempesta e di sole. Questo figlio della Rivoluzione francese creò, preso dalla sua umanità, che sentiva, intus et in cute, quell’affamato e perseguitato personaggio Jean Valjean. Hugo dai grandi giorni tempestosi per la morte della tanto amata figlia Leopoldina – annegata con lo sposo nella Senna, e per altre avversità –  agli anni della sua solitudine e della fame. Non tardò a spuntare il sole dei grandi onori. Fra questi, la fama e, defunto, le imponenti onoranze funebri e, infine, la sepoltura nel Pantheon, ove dorme la scienziata Marie Curie. I miserabili del grande libro di Hugo eternamente proliferano.

tempesta e sole
LImina

  A Limina, la comunità collinare, sopra l’Ionio, prima di Taormina, venendo da Messina, si tagliava con l’accetta la fame, le case basse e nere di fumo, le strade sgangherate e putride. Pure così in altre vicine comunità. Sofferenze e sofferenze per gli anziani e gli ammalati e i ragazzi scalzi. Che furono zappatori, guardiani delle loro capre per il latte. Poi  studenti  con il conseguimento di un diploma, di una laurea.  E lavoro e sole. Tante abitazioni vennero raffinatamente ricostruite e abbandonate. Si è spopolata la comunità. Le campagne, come ancora è stato osservato, un deserto, dopo tante lotte del movimento contadino per ottenerle. Splende il sole, comunque, sulla pace che regna. I pochi anziani rimasti al paese vivono con le pensioni. Poetico  il ritorno di alcuni  dal nord italico e dall’estero, tra  luglio e agosto. Poi le ripartenze.  

 In conclusione di questa nota la città di Messina, che il terremoto del 1908 distrusse.   Salvatore Quasimodo scriverà: “Le nostre notti cadono/nei carri merci e noi bestiame infantile/contiamo sogni polverosi con i morti/sfondati dai ferri, mordendo mandorle/ e mele disseccate a ghirlanda…”. Il poeta, dopo, nella città che lentamente risorgeva continuò gli studi conseguendo il diploma di geometra e, dopo, pure per lui l’uscita dalla Sicilia e vita ardua con la sua compagna Bice Donetti , “quella che non si dolse mai dell’uomo/ che qui rimane, odiato coi suoi versi,/ uno come tanti, operaio di sogni”.  Nella città lombarda non poca tempestosità per il poeta siciliano, ma poi il sole, quel grande guiderdone a cui aspirano tanti poeti.