(Angelo Paratico) Tutti i libri di Dino Messina hanno un denominatore comune: l’equità del suo giudizio, libero da pregiudizi ideologici e la completezza della sua ricerca storica.
Il suo ultimo libro, intitolato ‘Piazzale Loreto. I due volti della Liberazione’, pubblicato da Solferino nel 2025, ricostruisce gli antecedenti e la fucilazione, avvenuta il 10 agosto 1944, di un gruppo di quindici uomini di varia estrazione, come rappresaglia per una bomba posta su un autocarro con rimorchio appartenente alla Marina militare tedesca. L’esplosione avvenuta l’8 agosto 1944 in via Abruzzi uccise dieci italiani. Vennero fucilati tutti su uno spiazzo fra Corso Buenos Aires e via Andrea Doria, vicino a Piazzale Loreto.

I loro corpi, per ordine dei tedeschi, vennero lasciati esposti per una giornata intera. Erano tutti innocenti di quell’attentato, ma la loro colpa fu di trovarsi nel carcere di San Vittore nel momento sbagliato. Erano dei cattolici, dei liberali e socialisti che vennero caricati su un camion, dicendo loro che li si trasferiva a Bergamo, ma il fatto che gli consigliarono di lasciarsi dietro il bagaglio fece intuire quale fosse la loro vera destinazione. Ci fu chi ne approfittò per mettersi in tasca un biglietto con le ultime parole rivolte alla madre, come Domenico Fiorani: «Pochi istanti prima di morire a voi tutti gli ultimi palpiti del mio cuore. Viva l’Italia”, chi invece si mise in tasca una copia del Vangelo.
La bomba posta sull’autocarro tedesco uccise dieci ignari passanti, tutti italiani. I tedeschi accusarono i GAP ma i veri responsabili non furono mai individuati, anche se un recente documento emerso dagli archivi parrebbe confermare che fu il distaccamento “Walter Perotti” dei GAP che fece questo attentato, e il fatto che vi furono solo vittime italiane li spinse a non rivendicarlo. Inoltre, il giorno prima della fucilazione, il giorno 9 agosto, i GAP uccisero in un agguato il capitano della milizia ferroviaria, Marcello Mariani e questo non giovò a rasserenare il clima.
Pare che la rappresaglia fosse stata ordinata dal capitano delle SS Saevecke, condannato in contumacia nel 1999, su indicazioni del suo superiore, il colonello Walter Rauff. Durante il processo, ventisei anni fa, al Saevecke vennero riconosciute delle attenuanti generiche, in particolare il fatto che in seguito permise la fuga “di diversi partigiani (fra cui il futuro presidente del Consiglio Ferruccio Parri), e fu responsabile della rocambolesca fuga di Indro Montanelli (circostanza testimoniata durante il processo dallo stesso giornalista) e che accolse alcune richieste di “grazie” particolari da parte della curia milanese. Theo Saevecke continuò a vivere indisturbato per il breve tempo che gli era rimasto e morì a Bad Rothenfelde il 16 dicembre 2000.
I tedeschi avevano incaricato dei militi della Legione Muti di occuparsi delle esecuzioni. Il tutto fu organizzato in fretta e furia e Mussolini venne a saperlo solo a fucilazione avvenuta, cosa che lo fece infuriare, pronunciando quelle parole che poi si riveleranno profetiche: “Il sangue di Piazzale Loreto lo pagheremo molto caro”. L’esecuzione venne condotta in maniera molto disordinata con un prigioniero che tentò la fuga ma venne inseguito e finito a colpi di mitra in una strada laterale.
La seconda parte del libro tratta dell’altro fatto celebre avvenuto in Piazzale Loreto, il 29 aprile 1945, ovvero l’esposizione dei corpi di Mussolini, della Petacci, e alcuni gerarchi della RSI, ma fra l’oro c’era anche un autostoppista, il fondatore del Partito Comunista Italiano e il fratello della Petacci, con l’aggiunta successiva del corpo di Achille Starace preso a Milano mentre stava facendo jogging, come se nulla stesse accadendo in città. Fu quella mostra feroce che fece il giro del mondo, facendo dimenticare le vittime delle fucilazioni dell’anno prima.
A metà maggio 2005, poche settimane dopo il sessantesimo della Liberazione, il professor Stefano Zecchi, assessore alla Cultura della giunta Albertini, con delega alla Toponomastica, propose di cambiare il nome di piazzale Loreto in piazza della Concordia. L’idea spiegò intervistato dal Corriere della Sera gli era venuta a Parigi, passando da place de la Concorde, dove ghigliottinarono il re e la regina, un luogo che fino al 1830 si chiamava place de la Révolution. Richiamandosi agli inviti all’unità del presidente Carlo Azeglio Ciampi, Zecchi, filosofo e docente di Estetica, spiegava che la sua proposta non intendeva cancellare il passato ma andare oltre, così come nella filosofia di Hegel il superamento della contraddizione non cancellava gli elementi precedenti. La proposta del filosofo era intelligente, ma troppo ardita e, come ben sappiamo, non se ne fece nulla.