(di Gianni Schicchi) Si è conclusa la stagione sinfonica 2024 della Fondazione Arena all’insegna di due grandi del romanticismo tedesco: Franz Schubert e Gustav Mahler, con i loro celebri capolavori, la Sinfonia n° 8 “Incompiuta” del primo e Quarta Sinfonia in sol maggiore del secondo. Ad eseguirle con l’orchestra areniana, due interpreti provenienti dalla stessa area mitteleuropea dei compositori: il noto maestro Wolfram Christ e il soprano Mojca Erdmann.

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Con il direttore tedesco – preceduto da un solido curriculum, arricchitosi di recente anche in un complesso orchestrale veneto – abbiamo avuto la sensazione di avere di fronte una personalità fuori del comune. Il suo gesto è certamente chiaro, incisivo, tale da rendere limpido qualsiasi ordito orchestrale e il suono che ricava è di una signorile levigatezza: ma tutto si muove in termini che non manifestano una personalità di staglio inconsueto, che non dicono l’interprete fantasioso e coinvolgente, ma un professore che spiega benissimo armonia e contrappunto, forma e stile, senza essere un creatore originale. 

Il direttore tedesco mostra di comprendere perfettamente che la Sinfonia in si minore rappresenta una svolta radicale nel sinfonismo schubertiano, la rivelazione di un mondo alternativo ai modelli classici, Beethoven incluso. I tempi usati si allargano spesso e il suo modo di fraseggiare inclina ad una maggiore flessibilità e disposizione al canto senza per questo rinunciare ai bruschi scarti dinamici e ad una certa asciuttezza timbrica. 

Ma il carattere saliente dell’Incompiuta, cioè quella tensione spasmodica che sembra apprendere e rivelare imminenze sconosciute e fatali, si allenta e si sfrangia a pro di una lettura che vuole discettare fino all’estremo quanto Schubert sia profeta di un Bruckner. Ciò è anche vero, se non viene dimenticato però che Schubert è Schubert con la sua gioventù troncata, la sua poesia “leopardiana”, con i suoi aneliti e i suoi rimpianti, di cui però si è sentito poca traccia nell’esecuzione.

E dove nell’Andante con moto si smarrisce quasi del tutto quella poesia del procedere “als Wanderer”, il senso cioè dell’eterna, malinconica erranza del Poeta, che sembra far perdere l’intero senso del dettato schubertiano.

Wolfram Christ lo si ascolta poi imprimere invece alla Quarta di Mahler una scorrevolezza ed un piglio tesi a privilegiare l’eccitazione sul lirismo, la freschezza dello slancio ritmico sulle sfumature delicate. Sembra preoccupato a garantire sempre e comunque un suono genericamente bello e compatto che per la verità ha poco a che vedere con Mahler. Né a rendere più personale e interessante la sua lettura provvedono le scelte dei tempi, tendenti ad omologarsi nella assoluta regolarità del tactus, evitando quelle magiche dilatazioni che caratterizzano i grandi interpreti di Mahler. 

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Il procedere della sinfonia comunque viaggia su binari esecutivi accettabili, con il terzo movimento ben disposto nell’ampia e pacata melodia degli archi, esposta inizialmente senza violini e intenso recitativo sentimentale. Il quarto movimento, con la sua garbata ironia sui santi, tiene poi in evidenza le immagini tutte terrene delle felicità gastronomiche e del vino, dispensati dalla cucina e dalle cantine celesti: tutte gioie cantate dalla poesia popolare Das himmlische Leben (La vita celeste) e intonate dal soprano solista, che si traducono in un mondo di trasparenze sonore, dove tutto è sorriso perché gioco, canto e danza.

L’orchestra areniana ha suonato assai bene per l’intero svolgimento del concerto, soprattutto nel settore dei fiati (in evidenza i quattro flauti e i clarinetti, ma ottima anche la nuova fila dei sei contrabbassi)) dimostrando di avere ormai assunto un livello interpretativo davvero rilevante, causato dai molti giovani innesti operati negli ultimi tempi fra le sue fila.

La sua presenza per affrontare due scogli del sinfonismo romantico risulta determinante nel presentare sonorità asciutte e trasparenti, con tempi in genere molo spediti, parsimonia di vibrato degli archi e netti contrasti dinamici. Il Filarmonico l’ha salutata alla fine con insistenti e lunghi applausi, unitamente al soprano, al primo violino Gunther Sanin ed al direttore, a sua volta applaudito dall’intera orchestra.

Qui l’avvenente soprano tedesco Mojca Erdmann ha saputo sfoggiare una voce estesa e piacevole, risolvendo bravamente il finale mahleriano con la giusta attenzione ai significati del testo.