Pubblichiamo un estratto dell’articolo pubblicato sulla rivista di Geopolitica ‘Aliseo’ che pone il tema della mancanza di soldati in Italia e nei paesi europei che può rendere inefficaci le politiche di riarmo. Chi vuole approfondire l’argomento può farlo cliccando sul sito di Aliseo.

(di Cristina Milanese)  “Non abbiamo abbastanza uomini, con 170mila siamo al limite della sopravvivenza. Così il Capo di Stato Maggiore della Difesa Giuseppe Cavo Dragone si esprimeva a marzo scorso sullo stato di salute delle Forze armate italiane.

Non ci sono abbastanza soldati

In un’audizione presso le commissioni Difesa e Esteri delle due camere, l’ammiraglio metteva in luce come il sotto-dimensionamento degli organici fosse ad oggi l’ostacolo primario “alle esigenze di carattere operativo”, in quanto non assicura “alla forza armata la ‘massa’ necessaria ad affrontare un eventuale conflitto ad alta intensità”.
Eppure, se il quadro italiano appare critico, la diagnosi di Cavo Dragone potrebbe riguardare allo stesso modo gran parte dei Paesi dell’Unione Europea e, in generale, del Vecchio Continente.

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Infatti, mentre Bruxelles si prepara a mobilitare centinaia di miliardi di euro con il suo piano ReArm Europe, nelle caserme delle varie nazioni si registra una carenza ben più grave: quella di uomini.

In merito, parla chiaro un report del Centro di Ricerca Bruegel e del Kiel Institute: i Paesi europei necessiterebbero di 300mila truppe aggiuntive rispetto a quelle attuali, se dovessero difendersi da un’invasione simile a quella subita dall’Ucraina senza l’aiuto statunitense. A oggi, invero, del milione e mezzo di personale militare che sulla carta risulta in attivo, non tutto sarebbe dispiegabile sul campo di battaglia.

Soldati attempati

Non si tratta, tuttavia, di una questione esclusivamente numerica. Alle difficoltà dei Paesi europei nel riempire i ranghi, si aggiungono gli ostacoli dei crescenti tassi di abbandono e dell’età media elevata del personale militare.
Ciò che è messo in luce più volte dai vertici militari e politici dei Paesi con difficoltà nei reclutamenti è la necessità di un cambio di mentalità nell’approcciarsi al servizio militare. Specie se, come rilevato da un sondaggio di Gallup, in molti Paesi europei, la maggioranza dei cittadini non è disposta a difendere la propria nazione in caso di invasionein Italia solo il 14% lo farebbe.

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Secondo il “Rapporto Esercito 2023”, il 65% dell’arma di terra ha tra i 30 e i 50 anni (i sottufficiali con un’età media di 49 anni) e i graduati, che rappresentano la parte più consistente delle unità operative, raggiungono un’età media di 40 anni.

Il ripensamento delle Forze armate non potrà che avvenire, dunque, in primis all’interno di ogni nazione, valutando la tenuta e la natura del patto sociale tra Stato e cittadini, la fiducia che questi nutrono nei confronti delle istituzioni (e dunque anche della sua Difesa), e le variabili culturali-pedagogiche che informano la percezione del servizio sotto le armi. Con la certezza che anche il più massiccio dei riarmi, dinanzi alla carenza strutturale di uomini, non renderà i Paesi europei più sicuri.