(Carlo Lombardi) Il brutale omicidio dell’influencer Kanchan Kumari, conosciuta come Kamal Kaur Bhabi, ha sollevato in Punjab una preoccupante ondata di rivendicazioni che si rifanno a una presunta giustizia religiosa. Ma l’eco di questo caso rischia di non fermarsi ai confini indiani: segnali di un irrigidimento identitario e di un nuovo estremismo religioso stanno emergendo anche in Europa e in Italia, dove la comunità sikh è numerosa e ben radicata. 

La vicenda si profila così non solo come cronaca nera, ma come avvisaglia di derive ideologiche che potrebbero attecchire anche nel nostro Paese, specie in contesti dove la religione si salda a meccanismi di controllo sociale.

Il principale accusato, Amritpal Singh Mehron, è attualmente latitante negli Emirati Arabi Uniti. Intanto, in alcune zone di Ludhiana sono comparsi manifesti che lo celebrano come «Kaum Da Heera» (Gioiello della comunità) e «Izattan De Rakhe» (Protettore dell’onore). A rendere ancora più inquietante il quadro è arrivato anche l’appoggio esplicito di Malkiat Singh, capo spirituale del Tempio d’Oro – il più importante luogo sacro del sikhismo – che ha giustificato l’omicidio affermando che Kamal Kaur avrebbe macchiato l’immagine della comunità con contenuti ritenuti indecenti, legittimando così una forma di linciaggio morale.

Secondo le autorità, la vittima è stata uccisa per strangolamento. La polizia di Bathinda, che ha eseguito l’autopsia, ha al momento escluso segni di violenza sessuale. Sul piano giudiziario, due presunti complici di Mehron sono già stati arrestati, mentre nei confronti dello stesso Mehron e di un altro sospettato, Ranjit Singh, l’Interpol ha emesso un “look-out circular”.

Talibanizzazione e controllo morale

Le parole del capo religioso hanno suscitato reazioni fortemente contrastanti: da una parte chi le condanna con fermezza, dall’altra chi le sostiene apertamente. Queste dichiarazioni evidenziano un processo di radicalizzazione crescente all’interno del sikhismo, una religione storicamente legata alla protezione e all’emancipazione delle donne. Eppure, in nome della purezza morale, continuano a verificarsi aggressioni contro donne considerate portatrici di disonore, in una spirale di violenza giustificata — e in certi casi persino celebrata — da figure religiose o sociali. Finora, fenomeni di questo tipo sono stati principalmente associati all’estremismo islamico.

Nel caso di Kamal Kaur, la retorica ha assunto tratti inquietanti e molto simili: un femminicidio presentato come atto spiritualmente legittimo da una delle autorità religiose più influenti del sikhismo. «Non è successo nulla di sbagliato», ha dichiarato Malkiat Singh, impiegando un linguaggio che riecheggia le giustificazioni degli honor killings islamisti.

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Il parallelo non è forzato. In entrambi i casi, l’alibi religioso o culturale viene impiegato per svuotare la vittima della sua identità personale, riducendola a simbolo della reputazione collettiva. La donna diventa un contenitore di onore da difendere anche con la violenza, mentre si invoca la legge morale della comunità per giustificare l’illecito.

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L’ortodossia sikh in Italia

Preoccupa in modo particolare il legame tra questo rigore moralistico e l’ortodossia crescente in alcune comunità sikh dell’Europa occidentale. In Italia, soprattutto nel Nord – dove risiedono oltre 200.000 sikh e si trovano gurdwara importanti come quello di Pessina Cremonese – si osserva una deriva verso una visione del sikhismo sempre più chiusa e selettiva.

Non mancano episodi, anche se isolati, di ragazze sottoposte a pressioni per accettare matrimoni combinati, giovani donne criticate per non rispettare i codici comunitari più rigidi, tensioni intergenerazionali su modelli di comportamento e libertà individuale. Sebbene in Italia non si siano finora registrati casi di omicidi d’onore legati alla comunità sikh, sono documentate situazioni di controllo sociale e conflitto identitario, soprattutto tra i giovani che cercano di conciliare la cultura migrante con i valori religiosi d’origine.

Il rischio, in un contesto segnato da altre forme di radicalizzazione religiosa, è che anche queste dinamiche trovino spazio. Soprattutto dove le autorità spirituali esercitano un’influenza profonda sulla vita familiare, scolastica e comunitaria.

Un monito per tutti

L’assassinio di Kamal Kaur Bhabi impone una presa di posizione chiara e inequivocabile, sia da parte delle istituzioni religiose che da quelle laiche. Le comunità sikh devono dissociarsi apertamente da ogni narrativa che giustifichi crimini in nome della religione o della morale. La politica italiana ha il dovere di vigilare affinché luoghi di culto e associazioni religiose non diventino strumenti di pressione, esclusione o intimidazione — in particolare nei confronti delle donne.

In un’epoca in cui la libertà di espressione e l’autodeterminazione sono sotto attacco, il parallelo con le dinamiche dell’estremismo islamico dimostra che la questione non riguarda una sola religione, ma un certo tipo di visione culturale. Una visione rigida e repressiva che colpisce ovunque le voci emancipate, soprattutto femminili. Una visione che non ci appartiene.