( g.d.) Il 10% degli italiani possiede il 60% della ricchezza di tutto il paese. I poveri sono il 7,4%. La forbice si allarga. Segno di uno squilibrio che rivela errori nelle scelte economiche degli ultimi decenni.
Il dato emerge da una ricerca condotta dalla Future Proof Society e dal think tank Tortuga. In 10 anni la quota di italiani più ricchi ha aumentato la propria ricchezza del 7%. Il doppio della media europea.
E il 75% della ricchezza è detenuto dagli over 50
La Banca d’Italia aggiunge un dato. Il 75% della ricchezza è detenuto dagli over 50.
Mentre i giovani faticano a guadagnare e risparmiare e a metter su casa. Sono del 50% meno ricchi dei coetanei delle ultime due generazioni. Un problema strutturale.
Le paghe sono le più basse d’Europa, le case e la vita costano sempre più. Ed anche curarsi e studiare diventa un costo a causa dell’inefficienza del pubblico che spinge inevitabilmente a rivolgersi al privato.
L’ascensore sociale si è fermato
L’ascensore sociale non funziona più. Difficilmente chi nasce povero diventa ricco. Mentre chi ha alle spalle una famiglia facoltosa ha moltissime probabilità di rimanere ricco grazie anche all’eredità.
Nei prossimi 20 anni saranno 6.400 i miliardi che passeranno per successione da una generazione all’altra. E con la diminuzione della popolazione, nascendo sempre meno figli, questa ricchezza si concentrerà ulteriormente. E’ esattamente l’opposto di quanto avveniva secoli fa, quando le leggi privilegiavano il primogenito allo scopo di non disperdere il patrimonio.
Alcuni propongono di aumentare le tasse di successione, magari partendo da una certa soglia, allo scopo di redistribuire la ricchezza e finanziare i servizi pubblici e creare più opportunità per i giovani.
Ma è una ricetta un po’ semplicistica. Prima di tutto per definire la soglia al di sopra della quale scatterebbe la tassa. E poi perché è difficile non pensare che, vista l’inefficienza del pubblico, i soldi derivanti dall’aumento dell’imposta di successione, gestiti dallo Stato e quindi dalla burocrazia, si perderebbero nel mare magnum della spesa pubblica anziché essere disponibili per gli investimenti dell’iniziativa privata. L’esperienza insegna che affidarli allo Stato non sarebbe un buon affare.
