(di Gianni Schicchi) L’allestimento della Carmen di Bizet, firmato da Franco Zeffirelli nel 1995, ha raggiunto ormai il trentennio di vita areniana. Un vero record arrivato ad eguagliare quello storico della celebre Traviata di Luchino Visconti rimasta nei cartelloni londinesi per l’identica durata. Nel prossimo Opera Festival 2026 l’opera non figurerà più, nonostante i consensi guadagnati e i traguardi di incasso conseguiti nel tempo. Segno di una sua probabile messa in disparte? Forse. Tuttavia il titolo – a 150 anni dalla sua inaugurazione – si dimostra un degno antagonista di Aida e ritornerà sicuramente sul palcoscenico areniano, ben presto, magari con un nuovo allestimento.

Quello di Zeffirelli ha messo fin qui e spesso in difficoltà l’organizzazione areniana perché negli anni subì rimaneggiamenti continui per l’impossibilità di utilizzare gli spalti delle gradinate su cui il regista e scenografo fiorentino aveva costruito la sua Siviglia. Ora Carmen ha trovato un suo assetto ideale, molto vicino al progetto zeffirelliano (persino con un velario sul proscenio che il maestro non vide mai realizzato), a dimostrazione dell’efficienza raggiunta ormai dagli organici areniani.
Arena esaurita per Carmen
L’opera, nella recita di giovedì 14 agosto, è tornata a riproporsi con la sua animata piazza di Siviglia e la colorata presenza di suoi toreri, ma contrassegnata soprattutto dal ritorno della protagonista della serata inaugurale, il mezzosoprano russo Aigul Akhmetshina (sosterrà la parte fino alla conclusione del 3 settembre) e del don Josè di Francesco Meli, che ha inaspettatamente rimpiazzato il celebre collega polacco Piotr Beczala (indisposto?), uno dei più affermati interpreti internazionali. Era l’ultima recita poi per l‘Escamillo dell’ottimo bass-baritono bresciano Luca Micheletti, fra l’altro il più giovane erede della tradizione secolare della compagnia teatrale I Guitti di cui è anche regista stabile.
Il capolavoro di George Bizet con la sua progressione drammaturgica si conferma ancora una volta, pagina di straordinario fascino, grazie alla sobria direzione di Francesco Ivan Ciampa, dall’estrema vorticosità, unita ad una costante chiarezza strumentale. Il ventaglio delle sonorità da lui ottenuto è eccezionalmente ampio, dal sussurro più languido alla perorazione più incisiva, ma è soprattutto una costante cantabilità ad abbattere ogni eventuale schermo concettuale, stemperando ogni cosa in una comunicativa e immediatezza teatrale davvero avvincenti.
Lo strumentale dell’orchestra areniana ha potuto così mostrarsi sempre vario, ricco di colori, incisivo e di forte impronta drammatica.

La Carmen della Akhmetshina è semplicemente sontuosa. Voce fresca, dal timbro omogeneo nei diversi registri, da vero mezzosoprano che disegna un ruolo dalle connotazioni molto personali, di franca ironia, in una femminilità diretta, impaziente, dove il riso spensierato trapassa nella serietà senza nulla perdere in leggerezza e luminosità di canto. Molto lo charme (mai volgare) che sa emanare per un fisico poi dotatissimo, esaltato dall’impeccabile musicalità che regge la fluida, morbidissima linea vocale.
Le ha fatto degna compagnia la Micaela di una Mariangela Sicilia dall’ottima linea di canto, animata da una partecipazione emotiva di notevole intensità che rende di incantevole freschezza il duetto con Don José e ancor più terse e incisive le ampie arcate della grande aria del terzo atto, sostenute da un legato davvero eccellente. Calorosi gli applausi del pubblico alle due interpreti femminili, circondate poi da comprimari del tutto all’altezza, a cominciare dalla Frasquita di Daniela Cappiello e dalla Mercedes di Sofia Koberidze, cui hanno fatto riscontro le altre parti principali di Don José ed Escamillo non sempre di altrettanta qualità.
Francesco Meli, chiamato all’ultimo istante, è ottimo attore che riesce a comporre un personaggio valido grazie alle indubbie doti di comunicativa, all’ottimo gusto, alla grande musicalità, Però il tenore genovese tende a nasaleggiare e non poco, con alcuni suoni (sul fa e sul sol) francamente vetrosi e dopo averlo sentito concludere il duetto con Micaela con un ottimo pianissimo, ci si aspettava analogo – e prescritto – pianissimo sul si bemolle conclusivo della romanza del fiore, anziché uno ben poco espressivo mezzoforte.
Luca Michelletti, interprete attento e personale non è sempre a suo agio nelle robuste arcate e l’alta tessitura della canzone del Toreador. Il ruolo di Escamillo si sa quanto richiederebbe un cantante più anfibio (con le note profonde di un basso e quelle alte di un baritono), non sempre facile da reperire, tuttavia l’interprete bresciano è stato poi molto bravo nel dominare sia la frastagliata linea vocale del duello, sia del duettino con Carmen, tenuto su di un legato di ammirevole compattezza e di maschia composta sensualità.

Fra le altre parti di fianco hanno fornito una qualificata prestazione: Jan Antem nelle vesti del Dancario e Francesco Pittari in quelle del Remendado, con Gabriele Sagona come Zuniga e Giulio Mastrototaro come Morales. Il coro areniano ha fornito come sempre una prova maiuscola che il maestro Roberto Gabbiani ha preparato con grande cura e puntualità. Molto partecipata anche la presenza del coro di voci bianche A.Li.Ve. preparato dal maestro Paolo Facincani. Nella parte coreografica di El Camborio, ha danzato a lungo la compagnia Antonio Gades, preparata dal coordinatore del ballo Gaetano Petrosino.
Una compagnia spagnola prestigiosa, che divisa in due tronconi ha intrattenuto per dieci minuti il pubblico, consentendo un cambio scena a vista (tra il terzo ed il quatto atto) e che il pubblico ha mostrato di apprezzare con vistosi applausi.
Serata caldissima, ma Arena esaurita di pubblico che ha vivamente applaudito le scene di massa: la vivace disputa tra le sigaraie del primo atto, il risveglio nella taverna di Lillas Pastia del secondo e a sfilata del festante corteo dei toreri nel quarto. All’applauso finale ha partecipato (giustamente) l’intero colorato popolo di Siviglia.
