(di Gianni Schicchi) Ineccepibile concerto inaugurale del XXXIV Settembre dell’Accademia con la presenza della London Symphony Orchestra diretta da sir Antonio Pappano, una compagine che sa conseguire risultati di assoluta eccellenza, per compattezza timbrica e ricchezza di intenzioni davvero ragguardevoli. Con l’orchestra inglese Pappano concludeva in questi giorni un ventennio di collaborazione, mostrando quanto il suo lavoro abbia nel tempo affinato ancora di più le già notevolissime caratteristiche dell’orchestra. 

Forse bisognava anche leggere “La mia vita in musica” (edizione Marsilio) per capire ancor più l’umanità, la passione e la sincerità di questo direttore che emergono dalle pagine e di quando si trova a parlare dal podio. Il racconto e la testimonianza di come il figlio di due emigrati di Castelfranco Miscano, un paesino delBeneventano, abbia fatto tesoro della lezione dei genitori, del loro spirito di adattamento e della loro capacità di sacrificio, fornendo lezioni di come si allestisce un’opera lirica, o di come si danno nozioni di storia della musica, con una competenza e una capacità di comunicazione che pochi hanno. Il senso del fare musica, racconta Pappano, non è stare in una torre di avorio a studiare le partiture, ma sporcarsi le mani (come avevano fatto i suoi genitori) e diventare il punto di riferimento dell’orchestra di cui si è a capo in quel momento.

Nel primo concerto de Il Settembre dell’Accademia il direttore ha proposto in apertura la Nona Sinfonia di Shostakovic a ricordo dei 50 anni dalla scomparsa del grande musicista russo. Una Sinfonia lontana dal linguaggio tormentato delle due che la precedono, ma pagina tra le più spiritose e spensierate del compositore russo, scritta nello stile del divertimento orchestrale e in cinque movimenti, di cui gli ultimi tre senza interruzione. 

Perfetta la sua esecuzione che mostra la profondità della visione di Pappano orientatalontano dalla tradizione, dove rivela la cifra distintiva del suo approccio a Shostakovich, nel sapere mostrare con assoluta naturalezza la sottile duplicità di una musica che è insieme riso e pianto, serenità e inquietudine. Un contrasto bene evidente nella sua sulfurea esecuzione dove si sono imposti poi la restituzione assorta e interrogativa del Moderato, il virtuosismo indescrivibile di un Presto reso come una stralunata fantasmagoria ciajkowskiana e soprattutto la causticità umoristica di un quinto tempo mai così spiritato e paradossale.  

Nella serata un certo spazio è stato concesso poi al giovane pianista giapponese Seong-Jin Cho, Premio Chopin 2015, alle prese col Secondo Concerto in fa minore del compositore polacco. Una pagina oggi super abusata, ma che nell’esecuzione di Jin Cho ha sorpreso per la ricchezza dei colori e la levità del fraseggio mostrati, ma ancora più sorprendente per la maturità interpretativa del solista. 

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Il suo Chopin è elegante, salottiero, raffinato nel fraseggio ed elusivo nei sentimenti, caratterizzato da un suono trasparente, pur senza essere mai freddo. In questo contesto di eleganza e pulizia, Jin Cho esegue un Larghetto eccellente dove (pur se con una piccola sbavatura) non perde però di vista la frase nel suo complesso, la fa respirare e la fa danzare, invece di focalizzarsi sulla ricerca della bellezza dei singoli suoni, come purtroppo spesso accade oggi in molte esecuzioni. Ha anche una grande sensibilità per l’armonia e lo dimostra per esempio, il modo in cui fa percepire certe dissonanze. Ế malinconico, senza troppo indulgere alla sensualità ed è sentimentale senza scivolare nel sentimentalismo, come rivelano anche certi stacchi di tempo rapidi, dove la concitazione viene comunicata attraverso il fraseggio più che con la velocità. Calorosi consensi al suo indirizzo, con la concessione di un bis: nuovamente Chopin.  

Ha chiuso la Quinta Sinfonia di Beethoven dalla straordinaria trasparenza dell’ordito timbrico, che faticheremo ad ascoltare nuovamente di tale pregevolezza. La flessibilità talvolta sorprendente dell’agogica e la varietà degli accenti, che punteggiano il discorso, hanno conferito all’interpretazione di Pappano una vitalità, un’energia ed una ricchezza espressiva che non hanno lasciato indifferenti. Lo si è riscontrato fin dalla restituzione, insieme spaziosa e compatta,dell’iniziale Allegro con brio, dove il dialogo calibratissimo fra archi e fiati, la fierezza e la nobiltà dell’accentazione, la perfetta dosatura dei piani dinamici hanno compensato ampiamente la sensazione di compassata reticenza che sulle prime si poteva ricevere da un taglio così provocatoriamente tradizionale.

Intenso e profondo, ma non enfatico l’Andante con moto, dove la sottigliezza del fraseggio del direttore e la grande bravura degli strumentisti inglesi hanno raggiunto il risultato forse più alto della serata, in una severa compostezza espressiva, senza la minima concessione al facile effetto e alla soluzione scontata. Altrettanto contenuto, ma aereo e nitidissimo, è stato loScherzo con una pregevole prova dei corni nel Trio centrale, mentre ci è parsa diamantina la condotta dell’Allegro finale, dove Pappano ha mostrato la massima attenzione al suo perentorio slancio affermativo. Una grande ovazione ha accolto al termine la sua prestazione e dell’intera orchestra inglese. Pappano vistosamente emozionato ha ringraziato il pubblico concedendo come bis la deliziosa Variazione Enigma di Elgar. Serata ad alta temperatura, con Filarmonico esaurito ed una inaugurazione del Settembre che meglio di così non ci si poteva aspettare. 

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