Riflessioni sul Gay Pride a Verona
( Stefano Valdegamberi) Alcuni dei promotori del Gay Pride di Verona, tra cui il Circolo Pink e altre realtà associative, si presentano come paladini della lotta contro ogni forma di discriminazione. Tuttavia, ritengo opportuno segnalare alcune contraddizioni tra i principi che dichiarano di sostenere e i comportamenti che ho personalmente riscontrato.
Negli ultimi mesi, nell’organizzare eventi culturali che presentano visioni diverse da quelle dominanti in certi ambienti, ho subito pressioni, ostacoli e tentativi di censura. Un caso emblematico è quello legato alla presentazione del libro del generale Roberto Vannacci: dopo vari tentativi annullati, sono stato costretto a spostare l’iniziativa nel Comune di Tregnago, in Val d’Illasi, con notevoli disagi organizzativi ed economici.

Ed è ancora più grave che, oltre a questi ostacoli, io sia stato perfino querelato da alcune di queste realtà – proprio da coloro che in pubblico si presentano come difensori dei diritti, del dialogo e della libertà di pensiero. Una contraddizione evidente e preoccupante.
Io non ho mai impedito a nessuno di esprimere le proprie idee, anche se radicalmente diverse dalle mie. Mai ho ostacolato manifestazioni, boicottato eventi o tentato di zittire opinioni opposte. Al contrario, credo che il confronto civile e aperto sia alla base della democrazia. Eppure, chi rivendica libertà e inclusione spesso è il primo a praticare l’intolleranza verso chi non si allinea.
Libertà d’espressione a senso unico
Ritengo inoltre che forme espressive eccessivamente provocatorie o caricaturali, come certi carri o abbigliamenti volutamente esibizionistici durante il Pride, non rappresentano l’intera comunità LGBTQIA+ e anzi rischiano di rafforzare stereotipi anziché combatterli. A dirlo non sono solo io, ma anche diversi amici e conoscenti omosessuali che si sentono non rappresentati da questo tipo di manifestazione e che auspicano un approccio più sobrio e rispettoso della sensibilità altrui.

