(Angelo Paratico) La Verona di Shakespeare è una vera curiosità per il turista letterario britannico. Pare estremamente improbabile che l’impresario teatrale e attore William Shakespeare sia mai stato in Italia, ma il conte di Oxford, che fu forse il vero autore delle tragedie e John Florio, che fu sicuramente il redattore di quelle opere, visitarono Verona.
La scelta di Shakespeare di ambientare alcune opere teatrali in Italia, tra cui Romeo e Giulietta (1594-6 circa), ebbe come fonte diretta il più volte ristampato poema di Arthur Brooke The Tragicall Historye of Romeus and Juliet (1562), una traduzione della versione francese di una storia ben nota che aveva origine nelle versioni italiane scritte da Luigi da Porto e da Matteo Bandello.
L’invenzione della Verona shakespeariana come meta turistica avviene a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo ed è ispirata dal desiderio di cercare le tracce della presunta Giulietta. Sorprendentemente, la storia di come la città di Verona sia stata associata all’esistenza di una vera Giulietta storica ha molto a che fare con la caduta di Napoleone.

Molti giovani oggi si sposano presso alla “tomba di Giulietta”. Ed è proprio alla “tomba di Giulietta” che ha avuto inizio la vera Verona di Shakespeare, dato che il balcone ancora non esisteva. Questa si trova nel terreno di un convento con davanti un giardino, si scendono delle scale e si entra in una cripta dove si vede quello che è chiaramente un sarcofago romano che giace su un pavimento piastrellato.
La “tomba di Giulietta” appare per la prima volta poco dopo la battaglia di Waterloo. Durante la gran parte del XVIII secolo si riteneva che Giulietta fosse stata una persona reale, probabilmente sepolta a Verona, ma si pensava anche che la tomba fosse andata perduta. Poi, sorprendentemente, appare una lettera del 1816 scritta da Lord Byron in cui racconta di aver visitato la sua tomba durante una sua sosta a Verona, diretto a Venezia.

L’entusiasmo per Lord Byron divenne presto molto diffuso in Inghilterra, dove i suoi libri si vendevano come bignè appena sfornati e fu probabilmente questa la forza trainante dietro alla creazione di questa tomba. I viaggi degli inglesi nell’Europa continentale erano stati limitati dal blocco imposto da Napoleone, che nel 1815 perse a Waterloo.
Il primo indizio lo si deve al poeta Samuel Rogers, che insieme ad altri aristocratici turisti si era affrettato a raggiungere il continente durante la breve pace del 1814 e aveva viaggiato attraverso la Svizzera fino al nord Italia. Rogers scrisse di aver visitato il giardino di un convento, dove aveva visto “la bara di pietra di Giulietta, la nicchia per la sua lampada, lo spiracolo per la sua respirazione”. Lo “spiracolo” era un foro che in epoca romana veniva praticato per consentire la fuoriuscita dei liquidi durante la decomposizione del cadavere.
Rogers notò che la bara mostrava già segni di danneggiamento e attribuì questo fatto alla passione per le reliquie, che aveva spinto i visitatori a rubarne alcuni frammenti. Jane Waldie conferma questo racconto nel suo Sketches descriptive of Italy (1820), commentando piuttosto ingenuamente le chiacchiere di una guida nel 1817: “Ogni visitatore inglese porta via un pezzo di marmo; una circostanza che deplora molto, senza considerare che il fatto di dirlo a tutti è proprio il modo per perpetuare l’usanza”. L’interesse per queste reliquie si estese anche ad altre nazionalità. François-René Chateaubriand, partecipando al Congresso di Verona, osservò nel 1822 un paio di braccialetti indossati da Maria Luisa, arciduchessa di Parma e vedova di Napoleone, che erano stati realizzati con la pietra rossastra della bara.

Antoine Claude Pasquin Valéry menziona nel suo Viaggi storici, letterari e artistici in Italia (1839) che: “alcuni illustri stranieri e belle signore di Verona indossano una piccola bara fatta di questa stessa pietra”, e nel 1829 Maria Callcott, in luna di miele in Italia, osservò di aver incontrato un gentiluomo che sfoggiava un frammento della tomba incastonato in un anello.
Alcuni turisti andarono oltre la semplice ricerca di souvenir nella loro sete di autenticità sentimentale. Nell’autunno del 1816, due anni dopo la visita di Rogers, il viaggiatore francese Jacques Augustin Galiffe sentì la storia di una signora inglese, di cui non rivela il nome, che aveva reso omaggio a questo santuario alcune settimane prima e che aveva deciso di sdraiarsi a tutta lunghezza su questa tomba, come una figura monumentale, con le mani devotamente incrociate sul petto. Ma aggiunse che “è pericoloso sfidare il diavolo, soprattutto in un monastero.
Non appena la romantica visitatrice aveva incrociato le mani sul petto, un’improvvisa folata di vento aveva scompigliato le sue vesti indifese, causando non poca confusione a lei stessa e un certo scandalo alla mezza dozzina di amici e amiche che l’accompagnavano”. Il diavolo aveva mostrato le sue mutande.
L’entusiasmo per la tomba di Giulietta fu leggermente smorzato dalla pubblicazione del Manuale per i viaggiatori nel nord Italia (1843) di John Murray, che sollevò forti dubbi sull’autenticità del monumento. Ma nonostante la tomba fosse stata ufficialmente dichiarata falsa, i turisti vittoriani non si lasciarono scoraggiare dal visitarla. Nel 1864 la guida di Henry Gaze North Italy and Venetia riassumeva la situazione così: “Tomba di Giulietta, dubbia, ma da vedere”.
Sebbene i vittoriani rifiutassero la tomba in quanto non autentica, potevano comunque utilizzare il sito per evocare un incontro localizzato con Giulietta. Mary Wollstonecraft Shelley, creatrice di Frankenstein, ad esempio, nel settembre 1842, ammettendo che la tomba stessa era probabilmente falsa, utilizzò la sua visita come un’opportunità per evocare Giulietta come personaggio storico e per connettersi emotivamente con lei.
“Tuttavia, una scena del genere – un giardino, con le sue alte mura antiche, la sua vegetazione italiana e il cielo blu, senza nuvole sopra – era una scena familiare a Giulietta; e il suo spirito poteva aleggiare qui, anche se il suo bel corpo era sepolto altrove”, scrisse nel suo Rambles in Germany and Italy in 1840, 1842, and 1843 (1844). Come rivela la visita della Shelley, la tomba e il giardino in cui si trovava fornivano anche ai più scettici un senso di continuità fisica tra passato e presente, lettura e realtà, attraverso il contatto con Giulietta stessa, anche perché il sarcofago era antichissimo ed era stato toccato dalle sacre mani di Lord Byron.
Visitare la tomba, rubare frammenti da incastonare nei gioielli, sdraiarsi nel sarcofago, gettare biglietti da visita nella sua cavità: tutte queste pratiche esprimevano efficacemente il desiderio di un incontro fisico o addirittura di identificazione con il corpo di Giulietta. Questo è un impulso ancora evidente oggigiorno, con migliaia di selfie di donne in posa davanti alla tomba.
