Nel mirino i candidati di FdI che però hanno il certificato antimafia
Puntuale come un orologio svizzero arriva a pochi giorni dalle elezioni regionali l’attacco a Fratelli d’Italia della trasmissione Report. Un attacco in due tempi. Un ‘uno-due’ iniziato domenica 9 novembre con un servizio che ha preso di mira l’assessore alla cultura del comune di Legnago Gianluca Cavedo e, di riflesso, il sindaco Paolo Longhi e il sottosegretario alla Cultura, il veronese Gianmarco Mazzi, molto noto per essere anche uno dei maggiori manager italiani dello spettacolo. La trasmissione ha messo in evidenza il presunto conflitto dei interessi di Cavedo, membro dei una commissione che assegna finanziamenti alle società del settore di cui nel contempo è operatore.

Un ‘uno-due’ che è continuato domenica 16 con un altro servizio incentrato su David Di Michele e Stefano Casali, guarda caso entrambi candidati al consiglio regionale per il partito della Meloni.
Proprio sabato 15 novembre, in occasione di un evento di alto profilo sulle politiche culturali in vista delle regionali, il sottosegretario Mazzi ha risposto con la precisone ed il puntiglio di chi non accetta di essere oggetto, anche indiretto, di illazioni su una gestione non corretta del Ministero. Ha demolito le accuse secondo le quali il governo Meloni discriminerebbe la sinistra, dimostrando, nomi e cognomi alla mano, che noto esponenti del Pd sono ancora al loro posto perché “bravi”.
Quindi nessuna logica ad excludendum. Solo che, ha precisato Mazzi, è finita l’era “delle porte girevoli” ovvero dell’inveterata abitudine della sinistra di governo di piazzare i propri politici trombati negli enti culturali e, dopo un periodo di alcuni anni, di farli riemergere nelle liste elettorali.
Per quanto poi riguarda l’oggetto specifico dell’attacco a Cavedo, accusato di essere in una commissione ministeriale che assegna finanziamenti al mondo circense di cui fa parte, Mazzi con molta onestà intellettuale ha dichiarato che è un problema generale.
La composizione di queste commissioni pone il problema che gli esperti chiamati a farne parte sono anche persone del settore e che quindi in alcuni casi possono presentare un conflitto d’interessi, come ventilato da Report. Un problema annoso e praticamente irrisolvibile, ha notato Mazzi, perché se si sceglie la competenza ciò diventa inevitabile.
Se invece si preferisce la terzietà viene meno la competenza. L’unica strada, ha concluso, è quella che i commissari competenti escano quando vengono trattati argomenti che li coinvolgono, esattamente come avviene nei consigli comunali quando un consigliere esce dall’aula se la delibera da votare coinvolge dei suoi interessi.

L’attacco di Report a Di Michele
Ma l’attacco più pesante è stato portato da Report nella trasmissione di domenica 16 novembre, contro il candidato di FdI alla Regione David di Michele. Con la consueta abilità narrativa, notoriamente supportata da uno stuolo di legali che suggeriscono le formule per accusare di questo o quel reato senza incorrere nel rischio di essere condannati per diffamazione a mezzo stampa, la trasmissione ha ripreso il filo conduttore di presunti rapporti della politica con la ‘ndrangheta. Le stesse accuse che in passato erano state fatte a Flavio Tosi, senza però riuscire a dimostrare alcunché.
Report ha rispolverato una vecchia storia che risale al 2012, accusando Stefano Casali, avvocato penalista, consigliere regionale uscente, già vice-sindaco della seconda amministrazione Tosi, di aver partecipato ad una cena dove dice di essere stato presente Domenico Mercurio, collaboratore di giustizia, nella quale sarebbe stato siglato un patto con ‘i calabresi’ per supportarlo alle elezioni. Roba vecchia di 11 anni, già smentita per iscritto dallo stesso Casali.

Scena dell’altra accusa ad un candidato di FdI il comune di Lavagno, di cui Di Michele è vice-sindaco. Oggetto la costruzione di una scuola elementare appaltata nel 2021 e oggi non ancora in funzione ed anzi in via di degrado nonostante la spesa di quasi 3 milioni di euro. Calabresi le imprese che l’hanno costruita, napoletano il direttore dei lavori, come spiega una consigliera comunale del luogo. Che cosa c’entra allora Di Michele?
Niente, se non fosse per le accuse, sempre del pentito Mercurio, già tirate fuori dal cilindro di Sigrido Ranucci in trasmissioni pregresse dello stesso tenore, miranti a dimostrare il collegamento ‘ndrangheta/poliitica, che sostiene che vi sia stato uno scambio fra i calabresi trapiantati nel paese dell’Est veronese e i 400 voti di preferenza ottenuti da Di Michele alle ultime elezioni comunali.
«Lavagno ha 8,600 abitanti di cui i votanti sono circa 4 mila. Come fa Mercurio, peraltro già dichiarato inaffidabile dalla magistratura, a sostenere che 5/600 calabresi avrebbero votato per me? Oltretutto – continua il candidato meloniano- io come tutti i candidati di FdI ho prodotto i certificati antimafia e non abbiamo alcun rapporto con organizzazioni mafiose. Quindi di che cosa parliamo?»
