(Emanuele Torreggiani) Una parola nuova, relativa al secolo scorso entrata nel linguaggio globale. Viene da due lingue morte, secondo la nota definizione di youtuber, influencer, ministri della tripla I: internet, inglese, impresa; il greco genos, la stirpe ed il latino caedere, uccidere. Le compone, anno Domini 1944 un giurista ebreo polacco americano, Raphael Lemkin che pone le basi, giuridico scientifiche, del neo-crimine diverso dai massacri di cui nella storia sovrabbondano. Tanto che, tra gli altri superbi avvenimenti che caratterizzano il ‘900, il Secolo Breve, può essere, in negativo, indicato per questa peculiarità genocidiaria. 

L’abbrivio lo danno i giovani turchi con il genocidio armeno, un’operazione rozza nella metodica, ma efficace nella sostanza. Anno del Signore 1917, nasce la nuova Turchia per volontà di Kemal Ataturk e tutta la popolazione armena viene braccata e cacciata: la tristemente famosa marcia della morte lungo il deserto, allora persiano. Un milione e mezzo, due milioni, le cifre poi sono sempre all’incirca e indicative macroscopicamente dell’avvenimento. La Turchia rigetterà sempre questa responsabilità ed è la ragione, esclusivamente politica dell’opposizione, principalmente francese, ad un ingresso della stessa nella UE. 

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Per chi interessato si rimanda a Franz Werfel, ‘I quaranta giorni del Mussah Dagh’; ed a “La masseria delle allodole“, “Il libro di Mush” di Antonia Arslan, a mio avviso, e di gran lunga, la più brava scrittrice italiana in esercizio. 

Dopo gli armeni tocca agli ucraini. La grande opera di dekulakizzazione, elaborata da Giuseppe Stalin e condotta in loco dal commissario politico Nikita Cruscev, poi suo successore alla segreteria generale del partito comunista sovietico che costò, sempre grossomodo, circa sei milioni di ucraini morti per fame, una carestia indotta dalle requisizioni di tutti i prodotti agricoli.

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L’Holodomor, così viene oggi celebrato, il periodo tra il 1932/1933; ancora, per una lettura ipotetica, Anne Appelbaum: “La grande carestia”; Robert Conquest, Raccolto di dolore”. Infine, entrando nel periodo pre e bellico l’operazione nazionalsocialista. La cui letteratura non è sintetibile in pochi titoli, purtuttavia un saggio risulta coerente con l’enunciato genocidiario, Karen Bartlett “Gli architetti di Auschwitz“. 

Si prosegue in Cina con Mao Zedong e qui i numeri assurgono esponenziali, 36 ed oltre milioni, Jang Jisheng “Lapidi – La grande carestia in Cina“, anni 1958/1962. 

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Cambogia, 1975/1979, circa 2 milioni su un totale di sei, opera di Pol Pot e dei khmer rossi, Peter Froberg Idling, “Il sorriso di Pol Pot”. E si conclude in Ruanda, 1994. 

Un milione a colpi d’ascia tra due etnie (che poi erano uguali), gli Utu massacrano i Tutsi, Philip Gourevitch, “Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie”; In rete si possono vedere i coccodrilli che banchettano tra isole di cadaveri del lago Kivu. E si conclude così il volenteroso Novecento. 

Quando il presidente del governo giapponese Hideki Tojo fu processato e condannato all’impiccagione da un tribunale americano, anno 1948, per crimini di guerra, gli fu imputato il massacro di Nanchino dove circa 300 mila cinesi, maschi e femmine, neonati e ottuagenari, furono passati a fil di spada o katana che dire si voglia, Iris Chang “Lo stupro di Nanchino”, bellissima sinoamericana ricercatrice di Storia in una università della California, sollevò dall’oblio in cui, per ragioni politiche, era stata acquattata questa vicenda e, avendo guardato dentro all’abisso, l’abisso l’ha chiamata, si uccise, mi piace ricordarla almeno qui. Il presidente del governo giapponese, Hideki Tojo non venne accusato di genocidio, perché giuridicamente insussistente, ma per crimini di guerra. 

Quando ci si adopera all’informazione bisogna, è necessario, si deve, essere seri. Altrimenti non è più informazione ma propaganda. Le parole sono, per definizione, potenti. Seguirà un articolo sulla propaganda, teoria e metodo. Per ora mi fermo qui. Ovvio che i libri citati sono stati letti da chi scrive.