(Emanuele Torreggiani) Elinor Ostrom, 1933-2012, un nome che non parla da sé solo. Eppure, questa ragazza ha vinto il Premio Nobel per l’economia del 2009. Chi scrive, subito in evidenza, non è né un tecnico né un esperto del settore, né di alcun settore. Ammesso che l’economia sia un settore. E non, al contrario, un metodo politico. Ma sia. Dunque, la signora americana viene premiata per i suoi studi sulla possibilità di una terza via tra lo Stato ed il Mercato. Smarca dalla dicotomia cattivo/buono, oppure al contrario, buono cattivo ch’è poi il binario economico politico sul quale ha viaggiato il Novecento. Ed ha viaggiato sino all’altro ieri, al crack del ponte di Genova. Che segna, o dovrebbe, la fine del principio dicotomico. Infatti, già ancora i piloni al collasso, si scatena, nella nostra penisola, la rissa tra le due tribù: nazionalizzare vs privatizzare.

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Si evoca, addirittura il Venezuela come spauracchio di uno Stato invasivo con propensioni illiberali quindi totalitarie. Non è così banale. Non è mai così banale. Ci lasciamo alle spalle il Novecento, il globo diviso in due. Mondo libero e mondo prigioniero. E la nostra penisola, con la sua storia intestina, ne è paradigma. La signora americana nel suo testo Governare i beni collettivi” Marsilio, Venezia, 2006, ha teorizzato la possibilità di una gestione privata senza scopi di lucro per le infrastrutture comuni. Il Not for Profit. Per infrastrutture comuni si intende, scrive ella, un oceano, un fiume sotterraneo, il cielo, lo spazio, l’acqua, il petrolio, i minerali del sottosuolo, un continente non ancora confinato: Antartide.

Il metodo indicato dall’economista per governare i beni collettivi

E non solo, anche quelle infrastrutture che si assommano alla voce bene collettivo. Pascoli, Ferrovie, Autostrade… ecco. Autostrade, pubbliche private. Nella pratica che emerge dalla teorica cosa insegna la professoressa americana? La possibilità di governare l’infrastruttura senza fini di lucro reinvestendo costantemente l’utile in ammodernamento, sicurezza, tecnologia. In che modo? Semplicemente attraverso la figura di un civil servant, un soggetto, un dipendente pubblico, nominato per le sue competenze, che, senza nessun cda e bric a brac, indirizza tutto l’ingresso del ricavato dentro la struttura stessa. Si dirà che questa è utopia. Non proprio.

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Accade in Florida, stato degli USA, non nella riedizione dell’Unione Sovietica. Nella Florida governata sino a ieri da Jeff Bush. Ed altri stati nordamericani stanno seguendo la stessa strada. Anche la Gran Bretagna, con il recente superamento della mera privatizzazione delle ferrovie e l’introduzione di questo principio, che non è la statalizzazione ma l’esclusione della infrastruttura dalle regole del mercato finanziario. La Norvegia segue questa via per i giacimenti petroliferi e la Svizzera per le infrastrutture civili. Il civil servant, il dipendente della comunità, segue le indicazioni della politica. Ma governa l’infrastruttura per l’infrastruttura stessa, non con il fine del gioco azionario in Borsa. Non è cosa da nulla.

Se qualche politico, anziché evocare Maduro o il primato del privato, leggesse qualche libro, si guardasse in giro con occhio aperto, qualcuno che ha scritto e operato lo trova. Perché alla fine è sempre una questione di cultura. Solo cultura. Il resto sono risse tra paisà. C’è il mondo là fuori. Paisà.