(Angelo Paratico) L’accoltellatore di Piazza Gae Aulenti a Milano si chiama Vincenzo Lanni, è un 59enne originario di Bergamo ed ex programmatore informatico. Era già stato arrestato nel 2015 per aver accoltellato due anziani, senza motivo, a Villa di Serio e ad Alzano Lombardo.

All’epoca, ai magistrati aveva detto di aver agito come reazione “al profondo stato di frustrazione che provava per la sua vita”, che giudicava “fallimentare”. Aveva anche confessato che, se non fosse stato fermato, “avrebbe ucciso delle donne”. Un proposito messo in atto lunedì mattina quando ha colpito con un coltello da cucina una madre di 43 anni in piazza Gae Aulenti, nel cuore di Milano.
Questa volta non ha detto agli inquirenti di aver colpito per ragioni esistenziali ma per rabbia verso il potere economico. Ha confessato di aver colpito casualmente “un simbolo del potere economico” e “il contesto che rappresentava”, in una vera e propria manifestazione di rabbia e insofferenza verso il sistema. Lanni era stato recentemente allontanato da una comunità di recupero nel Varesotto in quanto era stato giudicato troppo violento.
Appare chiaro che un personaggio simile avrebbe dovuto essere rinchiuso in un manicomio criminale. Il problema è che non ne abbiamo più in Italia grazie alla Legge Basaglia, la numero 180 del 1978. La “gestione” penale della follia è oggi affidata agli ospedali psichiatrici giudiziari, comunemente chiamati Opg.
Già dieci anni fa una perizia psichiatrica aveva diagnosticato nel Lanni un disturbo schizoide di personalità, quindi dovuto a lesioni del cervello, non a influenze sociali. I giudici lo avevano ritenuto parzialmente capace di intendere e volere, ma comunque “socialmente pericoloso”.
Di questa legge Basaglia la sinistra italiana ne mena gran vanto asserendo che siamo stati il primo Paese al mondo ad averlo fatto in maniera tanto radicale. Inoltre, l’eliminazione delle istituzioni psichiatriche divenne una piattaforma del Partito Comunista Italiano durante gli anni settanta.

L’ex psichiatra e scrittore Mario Tobino scrisse un bellissimo libro intitolato Gli ultimi giorni di Magliano nel 1982. Mario Tobino racconta i disastri che questa riforma causò, suicidi, disperazione da parte di ex degenti e dei loro familiari. Gli effetti disastrosi della fuoriuscita dei pazienti dai manicomi sono stati descritti anche da Guido Ceronetti nel suo Un viaggio in Italia (1981-83).
Ricorda la nipote di Mario Tobino, Isabella Tobino: «Mio zio si oppose alla dottrina di Franco Basaglia, con il quale, sembra un paradosso, era amico, e ciò gli costò molto perché in quegli anni il problema del disagio mentale e dei manicomi fu estremamente politicizzato. Lo zio fu strumentalizzato contro la sua volontà, fu accusato di essere un conservatore, addirittura un reazionario Ma come?! diceva, sono stato un partigiano, ho partecipato al movimento di liberazione, non sono mai stato un uomo di partito e mi attaccano politicamente perché dico no alla chiusura dei manicomi? E così fu emarginato dalla Sinistra dell’epoca…».

Franco Basaglia, veneziano, fu un uomo di sinistra che si rifaceva a Wolfgang Huber, psichiatra della clinica psichiatrica dell’Università di Heidelberg dal 1964. Nel 1970 Huber fondò il collettivo socialista dei pazienti, noto anche come Fronte dei Pazienti, da un gruppo terapeutico che comprendeva sia studenti che pazienti. La terapia di gruppo divenne un elemento significativo nella “Nuova Sinistra” importata dagli Stati Uniti. Quando l’amministrazione dell’Università tentò di rimuovere Huber, i suoi pazienti organizzarono il Collettivo dei Pazienti Socialisti (SPK), protestarono e occuparono gli uffici dell’amministrazione ospedaliera fino a quando l’università non cedette. Lo slogan del SPK era: “Trasformare la malattia in un’arma”. La SPK ha sostenuto la malattia come un attributo positivo nello sviluppo umano. Franco Basaglia, come Huber e altri, considerava le istituzioni sociali come la causa della malattia mentale e affermava che la psichiatria era un meccanismo di controllo creato dalle classi dominanti.
