Cosa cambia davvero per le imprese italiane

(a.z.) La legge di bilancio è stata approvata al Senato il 23 dicembre e adesso è passato alla Camera che il 30 dicembre la approverà definitivamente, peraltro senza modifiche ed ulteriori emendamenti, dato che il voto sarà sottoposto alla fiducia, di conseguenza abbiamo già la portata definitiva di questa finanziaria. 

La coperta è corta

Quest’anno la coperta era molto corta, dato che c’erano a disposizione soltanto 18,7 miliardi, un importo davvero esiguo per un Paese strutturato come l’Italia e quindi per necessità di equilibrio finanziario e di rispetto dei vincoli europei. Il governo ha fatto una finanziaria molto tecnica e ha ridotto i supporti soprattutto al ceto produttivo.

Infatti, tra rifinanziamenti selettivi, incentivi rimodulati e misure rinviate, la nuova manovra economica ridisegna in modo profondo il quadro degli aiuti alle imprese, lasciando emergere un sistema sempre più complesso, disomogeneo e, in alcuni casi, contraddittorio. Se da un lato il governo conferma il sostegno ad alcuni strumenti storici, dall’altro introduce restrizioni e cambi di rotta che rischiano di penalizzare investimenti già programmati.

Poche novità positive nella manovra di bilancio

Una delle poche novità positive e più rilevanti, riguarda la mancata introduzione della stretta sulle compensazioni dei crediti d’imposta, originariamente prevista dall’articolo 26 della legge di bilancio e poi cancellata. Una misura che avrebbe irrigidito l’utilizzo dei crediti da parte delle imprese alle sole imposte e non più anche ai contributi INPS ed INAIL e che è stata accantonata dando grande sollievo al mondo produttivo, che temeva un ulteriore irrigidimento della liquidità aziendale.

Iperammortamento

La misura principale a livello industriale è l’iperammortamento, che va a sostituire i crediti d’imposta del piano 4.0 e 5.0, e che diventa strutturale, con durata triennale fino al 2028. Tuttavia, l’estensione temporale arriva insieme a una significativa riduzione delle agevolazioni, infatti, sparisce la maggiorazione legata alla riduzione dei consumi energetici e quindi tutte le aliquote vengono uniformate al 180% di maggiorazione, senza differenziazioni.

Inoltre vengono esclusi gli impianti fotovoltaici con moduli europei di cui alla lettera a),  e restano ammissibili soltanto quelli di cui alle lettere b) e c), disponibili in quantità limitate sul mercato e prodotti in Italia soltanto dalla 3Sun di Catania, di proprietà di Enel. In sostanza si tratta di un sostegno indiretto alla filiera italiana e ad Enel, punto sul quale si stanno già muovendo dei ricorsi per il manco rispetto dell’articolo 107 del TFUE, che dovrebbe prevedere la tutela della concorrenza, che in questo caso è per lo meno opinabile. Vengono, inoltre, introdotti nuovi allegati tecnici il III-bis e il III-ter che sostituiscono i vecchi A e B, ed estendono a nuovi beni strumentali digitali e tecnologici i benefici dell’iperammortamento.

Per quanto riguarda la ZES Sud del 2025, viene data la possibilità alle aziende che hanno fatto domanda di incrementare la percentuale di riparto del credito d’imposta dal 60% al 75%, ma solo a determinate condizioni: sarà necessario presentare un’apposita richiesta e non aver usufruito degli incentivi di Transizione 5.0. Una misura che introduce una logica di esclusività tra strumenti agevolativi, costringendo le imprese a scelte strategiche  ex post, spesso penalizzanti.

Transizione

Il capitolo più controverso riguarda il confronto tra Transizione 4.0 e Transizione 5.0. Per il 2025 vengono stanziati 1,3 miliardi di euro per il piano Transizione 4.0, mentre non arrivano nuove risorse per la 5.0, rischiando di fatto di lasciare senza copertura migliaia di aziende che si sono fidate delle stato e hanno investito e prenotato regolarmente le risorse nel corso del biennio passato.

Si ipotizza, quindi, un imminente provvedimento che consentirà il “porting” dei progetti rimasti in coda sul 5.0 verso il 4.0. In termini pratici, potrebbe anche succedere che coloro  i quali non sono riusciti a prenotare i fondi entro il 7 novembre, vedranno l’aliquota scendere drasticamente: dal 35%–40%–45% al 20%, con un impatto pesante sui piani di investimento già avviati. E c’è persino il rischio che vada peggio e che alcuni possano perdere ogni tipo di contribuzione e sostegno.

Viene confermato invece un credito d’imposta per l’Agricoltura per i beni in 4.0, alternativo all’iperammortamento. Tuttavia, le risorse sono estremamente limitate: appena 2,1 milioni di euro. Una cifra largamente insufficiente, tanto da rendere la misura più simbolica che realmente efficace.

Per il 2026, le imprese energivore potranno accedere retroattivamente solo per beni strumentali 4.0 ai benefici economici di Transizione 5.0, quindi vedendo aumentare i crediti d’imposta, senza applicazione delle norme sui vincoli ambientali europei fino ad un tetto massimo di spesa pari a 10 milioni di euro.

Sul fronte fiscale, viene posticipata al 2027 l’entrata in vigore della plastic tax e della sugar tax: una boccata d’ossigeno per diversi comparti produttivi.

Positiva invece la decisione di rifinanziare la Nuova Sabatini, uno degli strumenti più apprezzati dalle PMI per l’accesso al credito, così come il rifinanziamento dei contratti di sviluppo, che però interessano prevalentemente grandi progetti industriali.

In chiusura, arriva una misura destinata a far discutere: il raddoppio della Tobin Tax, che passa dallo 0,2% allo 0,4% sulle transazioni di azioni italiane ad alta capitalizzazione e sulle operazioni di trading ad alta frequenza. Una scelta che potrebbe ridurre la competitività del mercato finanziario italiano rispetto ad altri Paesi europei e non un grande segnale di libertà economica.

In conclusione

Nel complesso in conclusione, la manovra restituisce l’immagine di una politica industriale discontinua, fatta di proroghe, tagli selettivi e continui cambi di regole. Per le imprese, più che la mancanza di incentivi, pesa l’incertezza normativa, che rende difficile programmare investimenti di medio-lungo periodo.

Il rischio è che, tra bonus ridotti, vincoli europei illogici ed ideologici e risorse limitate, la leva degli incentivi perda progressivamente efficacia, trasformandosi da strumento di crescita a terreno minato per chi fa impresa.

Si aspetta qualche decreto correttivo ad inizio anno, per cercare di migliorare le cose in corso d’opera, altrimenti c’è il concreto rischio della perdita di competitività industriale del nostro Paese.