(Attilio Zorzi) Per anni il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato presentato come una straordinaria occasione per l’Italia: risorse europee “senza precedenti”, soldi messi a disposizione dall’Unione Europea per rilanciare l’economia dopo la pandemia. Ma oggi, con i numeri alla mano e con dichiarazioni ufficiali che arrivano dal governo stesso, emerge una realtà molto diversa: il PNRR non è un regalo, ma un debito a tutti gli effetti.
A chiarirlo è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha spiegato pubblicamente che i prestiti della Commissione Europea per finanziare il PNRR non sono a fondo perduto, ma devono essere restituiti con gli interessi. Una rivelazione che smonta la narrazione dominante secondo cui “l’Europa ci dà i soldi gratis” e che dimostra come tutti coloro i quali erano critici nei confronti di questo strumento, avessero ragione. Il tempo è galantuomo, d’altronde, i debiti purtroppo, li hanno sul groppone gli italiani però.

L’Unione Europea, attraverso il programma Next Generation EU, ha emesso titoli di debito sui mercati finanziari per raccogliere le risorse destinate ai vari piano di ripresa nazionali. L’Italia, in quanto principale beneficiaria, a causa delle scelta dell’allora governo Conte, ha ottenuto 122 miliardi di euro di prestiti, di cui 104 miliardi già incassati.
L’altra quota per arrivare ai famosi 200 miliardi era composta da trasferimenti e anche questi ultimi non erano a fondo perduto, ma essendo legati al bilancio europeo, si configuravano e si configurano come una partita di giro, nella quale l’Italia continua a versare più soldi di quanti ne riceve, rimanendo quindi contribuente netta nei confronti dell’Unione Europea, in questo settennato per oltre 12 miliardi di euro.
Le somme a debito entrano comunque pienamente nel debito pubblico italiano, insieme agli interessi maturati. Il piano di rimborso è spalmato su un arco temporale lunghissimo: dal 2028 al 2058. In altre parole, l’Unione Europea si indebita oggi e presenta il conto agli Stati membri domani, scaricando l’onere finale sui contribuenti italiani.
Il punto più critico riguarda il costo del debito europeo, che secondo le stime supera il 3% di interesse. Un dato che solleva un interrogativo fondamentale sulla convenienza dell’operazione. Tra il 2020 e il 2021, l’Italia è riuscita a collocare titoli di Stato a tassi estremamente bassi, grazie alle condizioni favorevoli dei mercati e all’intervento della Banca Centrale Europea. In quel contesto, indebitarsi autonomamente sarebbe stato molto più conveniente rispetto all’adesione a un debito comune europeo emesso a tassi crescenti e che già oggi sta presentando un conto salato.
Perchè la Commissione Europea impone tassi superiori al 3%?
La domanda allora diventa inevitabile: perché la Commissione Europea impone all’Italia un debito a tassi superiori al 3%, quando lo Stato italiano era in grado di finanziarsi a costi nettamente inferiori?
Secondo le critiche emerse anche in ambienti istituzionali, la Commissione non ha adottato una strategia di tasso ottimale, ma ha emesso titoli in momenti sfavorevoli, trasferendo il rischio e il costo sugli Stati membri, e soprattutto ha sfruttato l’ideologia di governi italiani troppo allineati ai diktat di Bruxelles, anziché all’interesse nazionale, che hanno scelto per credo e non per raziocinio e analisi.

Ma oltre al costo finanziario, il PNRR presenta un altro problema strutturale: la programmazione semestrale. Infatti, il sistema di obiettivi, vincoli, certificati, scadenze e “milestone” da rispettare ogni sei mesi ha creato rigidità nella pianificazione degli investimenti, rendendo difficile una strategia industriale di lungo periodo e obbligando l’attuale esecutivo italiano a rimodulare oltre 14 miliardi di euro, e causando anche il disastro per le aziende, che rischiano di perdere i contributi, a causa dello spostamento delle risorse del piano Transizione 5.0 e delle Comunità Energetiche, su altre voci, ancora ignote, solo per raggiungere le “milestone” sulla carta.
Molti progetti, infatti, sono stati costruiti per soddisfare i criteri europei, più che per rispondere alle reali necessità del Paese. Il risultato è una spesa spesso frammentata, accelerata artificialmente e poco coerente con le priorità economiche e sociali italiane.
Il PNRR ha inoltre evidenziato un tema politico di fondo, ossia la perdita di autonomia decisionale da parte del nostro Paese, dato che le risorse non possono essere utilizzate liberamente, ma devono rispettare vincoli stringenti imposti dall’Unione Europea, che controlla, valuta e autorizza ogni fase della spesa, nonostante i soldi siano nostri a tutti gli effetti e non “europei”.
PNRR. E’ giustificato il prezzo che pagherà l’Italia?
In conclusione, quindi, il PNRR, lungi dall’essere un atto di solidarietà disinteressata, si configura come un debito di lungo periodo a tassi superiori a quelli che l’Italia poteva ottenere autonomamente; con vincoli politici e amministrativi stringenti e con un impatto diretto sul debito pubblico nazionale.
La vera questione, ormai, non è più se il PNRR sia stato utile nel breve periodo, ma se il prezzo che l’Italia pagherà nei prossimi trent’anni sia giustificato. Un interrogativo che riguarda non solo l’economia, ma il futuro stesso della sovranità e della credibilità politica del Paese ed ecco perché la nostra politica dovrebbe diventare più critica ed incisiva e lavorare molto più fortemente per l’interesse nazionale, adattando le regole europee alle nostre esigenze e non viceversa.
