(di Francesca Romana Riello).Tortura animale online. Non è una formula  per attirare l’attenzione, ma la descrizione letterale di ciò che sta accadendo su alcuni canali Telegram, dove circolano video e immagini che mostrano sevizie e violenze estreme nei confronti di animali, soprattutto gatti. Contenuti reali, non filtrati, che trasformano la sofferenza in consumo e l’orrore in intrattenimento.

Tortura animale online: quando la violenza diventa contenuto

Le immagini segnalate raccontano una violenza lucida, intenzionale, reiterata. Non sono frammenti casuali né derive isolate. Sono materiali che si muovono all’interno di canali organizzati, spesso chiusi, accessibili solo su invito, dove la brutalità viene attesa, richiesta, rilanciata.

In questi spazi digitali la violenza non è un incidente: è il contenuto. La sofferenza animale diventa linguaggio, strumento di appartenenza, elemento di identità di una comunità che si riconosce nella sopraffazione. È qui che il confine viene superato, ed è qui che l’allarme dovrebbe scattare.

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Segnalazioni che non bastano e canali che riemergono

Il problema non è solo l’esistenza di questi contenuti, ma la loro persistenza. Le segnalazioni arrivano, ma spesso non producono effetti duraturi. I canali vengono chiusi e riaperti, cambiano nome, si spostano, si moltiplicano. Un gioco dell’oca digitale che lascia l’impressione di un controllo fragile, intermittente.

La tecnologia che tutela la privacy e la libertà di comunicazione diventa, di fatto, uno scudo anche per chi diffonde materiale criminale. Così si crea una zona grigia, dove la responsabilità si diluisce e la violenza resta accessibile, visibile, normalizzata.

Tortura animale online, un segnale che non può essere ignorato

La crudeltà verso gli animali non è solo una questione morale: è un reato. Ed è anche un indicatore. Numerosi studi criminologici hanno messo in evidenza il legame tra violenza sugli animali e altre forme di aggressività, tra l’assenza di empatia e comportamenti antisociali più ampi.

Permettere che questi contenuti circolino indisturbati significa accettare che esistano spazi in cui la violenza è tollerata, purché resti nascosta dietro uno schermo. Ma la rete non è un mondo a parte: ciò che accade online ha effetti reali.

La domanda, allora, non è se il problema esista. La domanda è quanto siamo disposti a convivere con questa forma di violenza silenziosa prima di pretendere un’assunzione di responsabilità chiara. Perché quando l’orrore diventa contenuto, il problema non è più solo di chi lo produce, ma anche di chi lo lascia circolare.

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