Cattolica esce da Piazza Affari, però resta sul Lungadige. Non dimentichiamolo: è il momento di tornare a costruire

(di Stefano Tenedini) Tra una settimana si scriverà la parola fine sulla presenza di Cattolica Assicurazioni in Borsa, per effetto del delisting (il ritiro delle azioni dal listino) seguito all’OPA di Generali che sfiora ormai il 98% del capitale sociale. E’ un giorno triste per i veronesi? Sì. Inutile nasconderselo: a tutti gli effetti, per quanto fosse annunciato, atteso e temuto (più che altro per motivi sentimentali, perché i giochi sono fatti da molto tempo) si tratta in effetti dell’ammainabandiera finale, la tromba che suona il silenzio. A ben guardare, però, dal punto di vista pratico ritrovarsi fuori dalla Borsa non è poi questo gran trauma. Sappiamo (soci e azionisti meglio di tutti, purtroppo) che in questi quasi 22 anni in Piazza Affari l’angelo di Lungadige Cangrande non è che abbia mai volato tanto in alto…

Ma è davvero la fine di tutto? Certo che no. In questo anno abbondante seguito all’annuncio dell’OPA L’Adige lo ha ripetuto di continuo, spesso in solitudine: dietro ogni fine può e deve esserci l’inizio di un percorso migliore. Ma bisogna volerlo cercare, riconoscere le opportunità e impegnarsi per trovarlo. Spiace, se non altro dal punto di vista umano, per gli azionisti e i soci irriducibili, che ci hanno creduto e hanno tentato legittimamente e con costanza di tenere la barca a galla. Ma Generali non è arrivata da Marte. In precedenza i massimi vertici della compagnia avevano commesso una serie di quelli che (con generosa smemoratezza) possiamo definire gravi errori su cui non è ancora stata fatta piena luce. Onore alla bandiera per soci affezionati alla società (e a volte ai risparmi di una vita) che ora si apprestano, come i giapponesi del 1945, a uscire dalla giungla per consegnare le loro spade alla storia.

Ma attenzione. Cattolica cambierà volto, però non sembra che Generali abbia inteso comprarla per chiuderla e finirla qui. Magari appunto all’ombra di Trieste (anzi, per dirla in positivo: proprio grazie alle dimensioni del Leone), ma piani e progetti sono pronti. Si chiuda la pratica e si passi oltre, si guardi finalmente avanti dopo essersi slogati il collo per rimirare il passato… Questo non va fatto certo in ossequio al nuovo azionista, ma per tutti i dipendenti, per i soci storici, i clienti, la rete agenziale. E soprattutto per la comunità del territorio, che anche su Cattolica ha fondato più di un secolo di sviluppo e di benessere.

Anche questo è un tema chiave che va addirittura molto oltre il Lungadige di famiglia. La ripartenza di Verona non è più una graziosa passeggiata da intraprendere fischiettando, senza meta né tempi di percorrenza: è diventata da tempo un’urgenza e ormai è un’emergenza. Rimandata per anni da una classe dirigente politica, economica, istituzionale forse distratta da altre questioni ritenute più calde, oggi ce la ritroviamo come una resa dei conti. La nuova Verona, se esiste, ha l’obbligo di darsi una strategia e di trovare la massima coesione su un progetto di rilancio sul quale ci giochiamo tutto.

Non è questione di visibilità o di poltrone, ma di ruolo nel contesto del Nord-Est e dell’estero, di attrattività e lavoro per i giovani e non solo, benessere, di servizi. Parliamo spesso della ricchezza e del valore della città e del suo territorio, di come potrebbe tornare a sbocciare se finisse la siccità delle idee e arrivasse una pioggia di volontà a ristorare le falde. Non abbiamo certo bisogno che qualcuno ci suoni la sveglia: queste cose le sappiamo bene. Ma oggi non possiamo più fingere e illuderci: il futuro che vogliamo non busserà a queste porte ancora a lungo. Il prossimo segnale che sentiremo potrebbe essere assordante come una scampanata nella notte che annuncia l’incendio e obbliga alla fuga.

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