Confindustria e quel gap di credibilità da colmare

(di Bulldog) C’è un problema profondo di comunicazione che riguarda la credibilità di Confindustria, e di Confindustria Verona, nei confronti della pubblica opinione. La rassegna stampa, e quel barlume di piccola polemica politica, emerse dall’evento di lunedì è per molti versi deludente. Specie se si fa un raffronto con quello che è stata Confindustria nel passato e il peso che ha avuto in alcune scelte strategiche che hanno condizionato la vita degli Italiani. Negli anni passati la voce di Viale dell’Astronomia era di guida non soltanto per gli imprenditori associati, ma anche  per il mondo delle professioni e per quanti, politicamente, stavano nel centro moderato tanto laico che democratico-cristiano. Così è stato anche per Piazza Cittadella.

Possiamo dire che oggi di quel messaggio è rimasto poco? Dire che il Dpcm del Governo è confusionario, che siamo su un crinale pericoloso, in bilico fra sviluppo e default non è che sia poi così d’aiuto; che il Paese sia  disorientato, in confusione, presidente Bonomi, ci creda: questo lo sappiamo già. Da lei ci aspettiamo qualcosa di più: un’indicazione di rotta, una strategia, proposte concrete per tornare a crescere. Non possiamo avere ancora parole vuote, ci servono piani praticamente operativi. Abbiamo una classe dirigente che ha 200 miliardi da spendere; sino ad oggi ha comprato monopattini, navigator e pagato indennità farlocche. Non un euro (o una piccola manciata)  speso per investimenti che creino nuovo valore, neppure quelli necessari per affrontare sicuri la seconda ondata. Ora, possiamo ragionevolmente pensare di affidare ad un venditore di bibite del San Paolo, ad un azzeccagarbugli, o ad uno del grande fratello, le nostre chance di ripresa? No, nessuno di noi lo pensa…

Per questo abbiamo bisogno di una Confindustria che dica cosa e quanto esattamente serve: l’Italia ha un ruolo industriale nel mondo, scegliete tre/quattro grandi progetti. Fate i vostri conti: quanti soldi servono, quanti siete disposti a metterne voi, quanto li deve mettere la collettività (a proposito: niente da dire sullo Stato che torna imprenditore con questa facilità di spesa senza controllo?) , che risultati intendete raggiungere, in quanto tempo,  e il dividendo sociale che ne possiamo ricavare (che per noi vuol dire, banalmente, quanta gente si può assumere: padri di famiglia con più di 50 anni e giovani tecnici e laureati).

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

Abbiamo diverse filiere produttive bloccate, ma abbiamo un enorme capitale umano. Ci servono manager che accettino la sfida, non l’ennesimo commento alla giornata politica. Di quelli, ne abbiamo a bizzeffe (compreso questo). Ne abbiamo così tanti che ne siamo stufi. Ci stupisca presidente con un documento snello, l’opposto di un Dpcm, che punti alla crescita. Vera.

E faccia lo stesso il presidente Bauli. Da quanto tempo non arriva una nuova industria di rilievo a Verona? Quante start-up hanno trovato qui terreno fertile per crescere? Quante banche le hanno accolte? Quanti giovani laureati e ricercatori sono rientrati a Verona dalla Germania nell’ultimo anno? A rischio di passare per banali, ci manca la concretezza del passato. La pubblica opinione vorrebbe vedere qualche risultato. Che oggi  per Verona non sono eclatanti: difficile risultare credibili se si difende la “centralità del Catullo post-Save” davanti allo scenario attuale (e quando nessuno ha pagato per gli sfracelli del passato); difficile esserlo, difendendo i furboni di A2A quando è diventato noto l’ammontare degli utili creati in Veneto destinati ad essere trasferiti  in Lombardia per salvare un impianto altrimenti dismesso; difficile anche costruire una condivisione su scelte strategiche per il futuro quando si delegittima con troppa faciloneria  la classe dirigente locale. L’articolo quinto non basta più. Non impressiona più. Stupiteci con un cahier non de doléances, ma di progetti…

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