Consumo del suolo, ai Veronesi sottratti 900mila metri quadrati di verde. E oggi paghiamo il conto del cemento selvaggio

(di Michele Bertucco) Nel primo decennio degli anni 2000, per effetto delle leggi Tremonti e dei relativi sgravi fiscali, si è registrato nel Veneto un aumento di oltre 165 milioni di metri cubi destinati ad edilizia non residenziale e industriale, e di circa 150 milioni per l’edilizia residenziale.

Avevamo smascherato le previsioni gonfiate del Comune di Verona ancora nel 2015 quando avevamo dimostrato carte alla mano come la superficie del territorio comunale è di 198,8 kmq e non 206,6 kmq che era stata utilizzata nel Piano di Assetto del Territorio per “gonfiare”la Superficie Agricola Trasformabile (SAT) del Comune di Verona.

In questo modo nel 2007 e nel 2011 (col Piano degli Interventi – PI) si era determinata la possibilità di rendere edificabili 1.678.000 mq di suolo agricolo, anziché di circa 700.000 mq, determinando un consumo di suolo immotivato di più di 900.000 mq che avrebbe dovuto rimanere agricolo. Per questi terreni con diversa destinazione urbanistica (edificabile) avevamo stimato un valore di mercato di circa 200 milioni di euro.
Avevamo chiesto, inascoltati, a questa amministrazione che prima di procedere con altre Varianti al PI o con nuove cementificazioni di rettificare le previsioni del PAT, non solo riducendo il valore della superficie agricola trasformabile a circa 700.000 mq con il conseguente adeguamento del PI.

Cifre completamente al di sopra del fabbisogno abitativo di Verona, che hanno creato non pochi danni al territorio, distruggendo il paesaggio storico veronese e non solo: in particolare, la dispersione insediativa ha accentuato il rischio idraulico e la produzione di inquinanti, ha generato spreco energetico, danni alla salute e insostenibili costi per trasporti e servizi alla popolazione, costi che oggi incidono sulla stessa capacità competitiva delle imprese.

C’è allora bisogno di un nuovo modello di sviluppo territoriale. In primo luogo vi è però un problema d’ordine culturale, che impone di mettere nuovamente al centro del dibattito e dell’azione politica le questioni del governo del territorio e del paesaggio come bene comune.

Servono nuove metodologie per l’urbanistica, che interessino in primo luogo il rapporto tra interventi a livello locale ed azioni territoriali più estese. Infatti, a fianco di politiche di recupero urbano, è necessaria una riorganizzazione più generale degli insediamenti.

Serve inoltre una rilettura delle aree verdi come punti focali di una “rete” che si sviluppi in tutto il tessuto urbano, non solo per finalità estetiche o progettuali, ma anche per gli importanti vantaggi che comportano: esse assorbono inquinamento atmosferico, riducono i livelli di rumore, e rallentano il deflusso delle acque piovane, oltre che mitigare le temperature estive nelle città. In Veneto e a Verona fino ad ora ha dominato la pratica della “perequazione urbanistica“: il Comune riconosce nuove volumetrie edificabili nelle aree un tempo destinate al verde, in cambio della cessione gratuita ad esso di una quota delle aree interessate dai Piani Urbanistici Attuativi. La maggior parte dei Comuni si è però limitata a trasformare le aree verdi in aree di perequazione, delegando possibili progetti per esse ai privati, e frammentando così il panorama del verde nella città.

Ad ogni modo queste poche considerazioni rendono evidente che la revisione del Pat e del Piano degli Interventi che chiediamo da anni, è più che mai motivata e assolutamente necessaria. Dovrà essere il primo impegno della prossima amministrazione. A patto ovviamente che i cittadini scelgano di mandarci qualcuno che mastichi di queste cose e non sia compromesso con le precedenti gestioni o non abbia altri interessi, vincoli o accordicchi da “onorare”.

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