Corsie ciclabili, una pennellata di buona volontà. Ma così auto e biciclette non possono convivere

(di Stefano Tenedini) Diciamolo subito a scanso di equivoci: investire sulle piste ciclopedonali o su corsie ciclabili è sempre e comunque una buona, anzi un’ottima idea. Ce lo chiede… no, non l’Europa, ma la necessità di ridurre l’eccesso di traffico e di combattere l’inquinamento, l’obesità e la sedentarietà che sono la causa di tanti malanni. Inoltre adesso che il Covid-19 sta rendendo complicato perfino prendere l’autobus, la bicicletta ci rende autonomi e “distacca” il virus.

Quindi vediamo con favore l’impegno del Comune di Verona in questo senso. L’assessorato Mobilità e Traffico, con la collaborazione di Fiab (la Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta) ha inaugurato qualche settimana fa un sistema di corsie ciclabili e piste ciclopedonali sui marciapiedi delle circonvallazioni interne, da Porta Palio a Porta Nuova e a Breccia Cappuccini, per raggiungere Ponte San Francesco. Intervento definito “solo il primo di una serie di opere mirate alla ciclabilità”. Tutto bene, quindi? Non proprio.

Un problema c’è, ed è l’improbabile “convivenza” tra due e quattro ruote che nessuna striscia di vernice per terra potrà trasformare in una separazione reale, per quanta informazione e appelli alla prudenza e al rispetto reciproco si possano fare ai ciclisti e agli automobilisti. Un esempio immediato sta nella foto qui sopra, scattata in Via del Lanciere, subito sopra il Tribunale. Si vede chiaramente che auto e bici in contemporanea fisicamente non ci stanno. E quindi il rischio potenziale c’è e non è affatto immaginario. È una “corsia ciclabile”, una novità assoluta a Verona. Il decreto “Rilancio” le ha previste contrassegnandole con linee bianche discontinue al margine destro della carreggiata. Ma questo spazio, rispetto alle tradizionali “piste ciclopedonali” segnate in giallo, per il Codice della Strada può essere invaso dalle auto se al momento non è occupato da bici. Va detto che a Verona le strade di solito non sono larghissime, soprattutto nella cerchia dei Bastioni. E infatti il nuovo percorso adotta quasi ovunque corsie di questo tipo.

Cosa succede? Proviamo a immaginare qualche scenario, quando fra qualche giorno le strade saranno piene (ad esempio) di studenti in bici diretti a scuola e di impiegati in auto verso l’ufficio. La bicicletta ci passa in piena sicurezza, ma se dietro arriva una macchina cosa deve fare l’automobilista? Ovviamente si deve accodare e “scortare” il ciclista a 10 all’ora (nella foto: fino laggiù, alla confluenza con Via Raggio di Sole), ma è birichino o ha fretta e a soluzione è invadere la corsia del senso opposto. Il rischio (speriamo di no, ma esiste) è che l’auto provi ad allargarsi il meno possibile, ma finisca col toccare il ciclista mandandolo pericolosamente vicino alle auto posteggiate, se non addosso.

Che fare se vogliamo (esattamente come il Comune) una città più a misura di due ruote ma senza dover raccogliere ragazzini doloranti caduti dalla bici né mettere un vigile ogni 50 metri per vigilare sul rispetto delle corsie ciclabili?

Ci vuole coraggio. Non a montare in sella, ma nel disegnare una città a misura di bicicletta che lo sia davvero, prendendosi anche la responsabilità politica di scontentare un sacco di cittadini che la pensano diversamente. Non per citare i paradisi dei ciclisti tipo Copenhagen o Amsterdam (basta pensare a Ferrara), ma bisogna prendere atto che una pennellata bianca o gialla per terra non è una soluzione concreta. E cambiare la convinzione (anche) di molti veronesi che credono che l’auto debba rimanere la regina incontrastata delle strade.

Torniamo per chiudere alla nostra foto. Brutalmente le soluzioni sono due: meno posteggi o senso unico. O si toglie la fila di parcheggi alla destra della carreggiata, proteggendo con elementi fisici la pista ciclabile e restituendo alle auto lo spazio di cui hanno bisogno (ma bisogna rinunciare agli incassi e prepararsi alla rivolta dei residenti e di chi lavora in zona). O la strada diventa a senso unico, preparandosi a uno tsunami di bestemmie mentre si riordina la circolazione, e trasformando la planimetria casuale, magnifica e creativa del nostro centro città in un ordinato reticolo di isolati, come negli Stati Uniti.

Ma NOI siamo pronti a farlo? Siamo disponibili (amministratori e cittadini) a sopportarne le conseguenze? Perché se rispondiamo no queste strisce sono solo maquillage, un evidenziatore di buona volontà che non risolve nulla. E ricordiamoci che quando discuteremo anche di emergenza climatica globale e di cosa fare per ridurre il rischio di eventi catastrofici come quelli della scorsa settimana, dovremo farci queste stesse domande, ma moltiplicate per mille.

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