(di Stefano Tenedini) Prima lo ha detto Giorgio Massignan, con la competenza che tutti gli riconoscono: c‘è il timore che Verona perda, con la Domus Mercatorum, un altro dei suoi tesori. Poi ha rincarato la dose il nostro Bulldog, ringhiando – come si conviene a un cagnaccio che non deve avere mezze misure – contro il progetto di venderla per farne un altro contenitore di chissà che, ma comunque ai privati. Hanno ragione entrambi: non si può non essere d’accordo che il patrimonio storico e culturale della città non va alienato come se fosse un posto macchina o una catapecchia che costa e non rende.

Doverosamente premesso questo, però: che si fa? Se la Camera di Commercio come proprietaria giuridica ha il diritto di vendere, c’è qualcuno che può e vuole impugnare la decisione fino a portarla davanti a un’autorità politica o giudiziaria? La strada politica non sta in piedi: sia perché finirebbe con l’impantanarsi nelle beghe di schieramenti, maggioranze contro minoranze, tempi biblici, zero soldi per salvare quelli che qualcuno chiamerebbe “quei quattro mattoni”, mentre altri la vedrebbero come un tesoro da tutelare a ogni costo. Quanto alla via giudiziaria: ne parliamo seriamente? I periti, il parere della Soprintendenza, le carte bollate, i tribunali seppelliti sotto valanghe di cause civili iniziate probabilmente ai tempi di Cangrande II contro Cansignorio… Per evitare una faida medievale serve una exit strategy che salvaguardi diritti e desideri, magari chiedendo anche ai veronesi cosa ne pensano.

Per fare da mediatore ci vorrebbe un democristiano di una volta, ma nonostante in tanti ci provino, non se ne vede l’ombra. Possiamo comunque provare a fare qualche ipotesi. Sgombrando intanto il campo dalle illusioni, come ci spiegano bene le macerie dell’Arsenale. Se nei prossimi giorni si sentirà qualche voce politica, pro o contro, si delimiterà il campo di gioco e si metteranno i primi paletti per iniziare a discuterne. Invece se tutto tace non è difficile ipotizzare come andrà a finire. Perché volente o nolente alla politica (in senso lato: partiti, persone, associazioni, enti economici) non può essere consentito di chiamarsi fuori, deve prendere parte al dibattito e anche allo scontro, se tale dovesse essere. Altrimenti la lista dei responsabili citata da Bulldog potrebbe allungarsi tra mille polemiche, e la perdita della Domus diventerebbe un’arma da usare in chissà quali altre future occasioni.

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Quindi? Partendo dal presupposto che il Consiglio della Camera di Commercio non è il CdA di un’azienda, e quindi non dovrebbe poter disporre liberamente di un bene tanto pubblico quanto prezioso, si può ipotizzare un’operazione non solo ponte ma anche potenzialmente stabile. Ad esempio se la Domus Mercatorum rimanesse proprietà pubblica, si potrebbe scegliere per bando un soggetto privato interessato a gestirla per alcuni anni, concordandone utilizzo, destinazione (museale come proposto da Massignan, culturale, per eventi), canone di affitto o contributo alle elevate spese di ristrutturazione. Questo è proprio il punto centrale: in cosa potrebbe evolversi la struttura, la necessità che rimanga comunque aperta al pubblico (tutta o in parte) e poi cosa NON deve assolutamente diventare: qualche buona idea salterà pur fuori, in mezzo alla fuffa e alle proposte sconclusionate!

Chiaro che senza soldi la Domus nella migliore delle ipotesi rimarrebbe vuota e inutilizzzata, mentre nella peggiore pian piano andrà in malora: oppure toccherà accettare una destinazione indecorosa per Verona, o costosa (e a carico dei cittadini). Chiunque può citare qualche episodio. Ma c’è anche un’altra opportunità, che la cosiddetta (ma spesso evanescente) società civile potrebbe cogliere. Singole aziende, associazioni imprenditoriali, anche ordini professionali potrebbero partecipare a una sorta di concorso di idee, nel quale chi ha le competenze e il ruolo possa immaginare una soluzione alternativa. Per il contenitore e per i contenuti, per un progetto, per le formule di finanziamento, per la gestione…

A proposito di finanziamento: visto che purtroppo (o per fortuna, secondo me) non ci sono più i grandi benefattori del passato che venivano usati come bancomat (banche e assicurazioni, per dire) e la Fondazione Cariverona ha imboccato una strada razionale, etica e funzionale dicendo “investimenti, non beneficenza”, perché non ragionare in termini di crowdfunding civico? Uno strumento che abbia cioè lo scopo di trovare sostenitori per finanziare progetti anche importanti, senza cercare grandi capitali ma chiedendo piccoli o medi contributi a molti soggetti diversi. Se ogni veronese tirasse fuori 10 euro, con 2,5 milioni magari potremmo ristrutturare il palazzo medievale. E se in mille ci mettessero 1000 euro sarebbe un altro milione. E via così, in base alla disponibilità e all’interesse dei singoli, addirittura fino a riscattarne la proprietà per riconsegnarla alla città e liberare la Camera di Commercio dal peso di gestire un edificio storico così importante ma poco pratico.

La stessa cosa, con contributi di ben altro livello, è stata fatta con il progetto “67 Colonne per l’Arena”, sapendo quanto valga la stagione lirica per l’economia veronese. Privati e aziende hanno risposto bene, per senso di responsabilità o per l’immagine, va bene comunque. E tutte queste ipotesi di soluzione non sono esclusive: si possono sommare, intrecciare, valutare, a patto di non dare già la Domus Mercatorum per persa. Meglio pensarci adesso invece di piangere sui mattoni perduti di Alberto I Della Scala. Cara Verona, possiamo provare a ragionarci? A trovarci, per una volta, uniti verso un obiettivo comune?

Cominciamo noi de L’Adige: questo spazio è aperto, a disposizione di tutti voi. Approfittatene, fateci sapere cosa pensate e cosa proponete. Ma va bene anche se non si fa vivo nessuno, almeno impareremo qualcosa su di noi: se gli abitanti tengono davvero alla loro città o no. Se fosse “o no”, a quel punto potremo anche smettere di illuderci che tra dieci o vent’anni le cose possano andare meglio. Perché prima di decollare, le grandi visioni vanno appoggiate a terra, per vedere se interessano a qualcuno.