Donne sole e culle vuote, il recovery plan dev’essere pro vita

(di Maddalena Morgante *) Due notizie apparentemente distanti ci confermano che la vera priorità di questi giorni è e resta la famiglia che non compare in alcun recovery plan come non fosse un problema evidente che questo Paese non cresce perché manca, banalmente, di un ricambio generazionale e di una tensione ideale al futuro.

Le due notizie sono queste: l’Istat ha confermato l’ennesimo dato negativo nella natalità del Veneto:  i bambini con meno di 10 anni diminuiscono di oltre 64 mila unità (-13,9%, a fronte del -11,5% dell’Italia). Sono invece 1,1 milioni i residenti con più di 64 anni (+13,6% in Veneto e +11,9% in Italia) e i grandi anziani (con 85 anni e più) passano da 140 mila a 177 mila unità (+26,3% per il Veneto, +29,4% per l’Italia). Le culle sempre più vuote sono un dato di fatto e persino nei nuovi residenti, immigrati da altri Paesi, si registra una contrazione della natalità, tradizionalmente più forte di quella nazionale.

La seconda notizia sta nell’odio spanto a piene mani a seguito di una campagna di pro vita a favore della difesa del diritto delle donne a scegliere se e come proseguire la propria maternità anche in presenza di situazioni particolarmente gravi. Si badi bene, non la richiesta di sospensione delle norme attuali sull’interruzione volontaria della gravidanza, ma la disponibilità ad offrire servizi, informazioni, aiuti concreti per una scelta più consapevole, più libera e meno pericolosa per la salute di una donna. I manifesti sono stati imbrattati, si è cercato di impedire che il messaggio proposto venisse letto dalle persone, come se fosse un delitto grave pensarla in maniera diversa dal mainstream abortista.

Se ci pensate bene entrambe le notizie hanno un comune denominatore: la condizione della donna nella società nazionale e veneta. Una donna alla quale non vengono offerte strutture di aiuto per gestire gravidanza e maternità; dove non si individuano misure per impedire che ogni gravidanza comporti la perdita del posto di lavoro; dove non si studiano soluzioni per la gestione dell’infanzia così da consentire una vita familiare più tranquilla e serena. In assenza di infrastrutture sociali e di modelli di welfare di prossimità, alle donne viene negato nei fatti il diritto alla maternità a causa del peso enorme che questo comporta nella propria vita lavorativa e professionale e nell’economia di famiglie sempre più prossime alla povertà.

L’unico diritto ammesso è quello di rinunciare alla maternità. Una rinuncia che – in maniera subdola e vigliacca – sempre più vede la donna dover agire da sola, nascosta agli occhi della società, costretta persino ad abortire farmacologicamente a casa senza alcun sostegno medico e psicologico. Spacciare tutto quanto sopra come una conquista di libertà è davvero un abominio. Le donne si vogliono “disponibili,” ma ancora senza diritti veri. L’unica concessione è quella di poter “risolversi i problemi” senza disturbare chi è parte altrettanto essenziale di una gravidanza.

Il Veneto e l’Italia non usciranno dalla crisi attuale se la famiglia non sarà al centro di un recovery plan che guardi davvero ai bisogni della società, alle persone ed al loro diritto naturale di maternità e paternità.

(* responsabile regionale del Veneto del Dipartimento pari opportunità, famiglia e valori non negoziabili di Fratelli d’Italia)

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