E’ un’economia da 14 milioni di euro quella che la crisi delle fragole mette a rischio nel veronese. 350 le aziende coinvolte, tra Oppeano, Bonavigo, Zevio, Buttapietra, San Giovanni Lupatoto ed Isola della Scala. Se ne è discusso pochi giorni fa a Zevio, in un vertice con le organizzazioni di prodotto che guidano la filiera veronese organizzato da Agrinsieme, il coordinamento tra C.I.A. Confagricoltura Confcooperative e Lega delle Cooperative. «Oggi lavoriamo sotto costo – avverte Paolo Noro, produttore di Mazzantica di Oppeano – con la concorrenza della Spagna su mercati [//]fondamentali come la Germania. Per fare un impianto di un ettaro, ogni anno, servono 45 mila euro tra risistemazione delle serre e coltivazione. Con quanto ricaveranno quest’anno, con prezzi scesi del 30-40% rispetto allo scorso anno, molte imprese agricole non avranno i soldi per ripartire». I mali della filiera della fragola veronese si possono sintetizzare nei cambiamenti climatici, che portano la produzione veronese ad anticipare la stagione e quindi a finire su mercati come quello tedesco nello stesso momento di Spagna e Marocco. Ma vanno ricercati soprattutto nell’assenza di una chiara immagine commerciale che qualifichi un prodotto veronese. Esso infatti avrebbe, per definizione territoriale e per l’esperienza quarantennale nella produzione, tutte le caratteristiche per ambire ad una sua denominazione, con la costituzione di un Consorzio che valorizzi il prodotto sul mercato. La divisione tra produttori invece impedisce la costruzione di un vero progetto commerciale, soprattutto sui mercati esteri. Sta di fatto che i prezzi sono crollati dai 1,8/2 euro al chilo dello scorso anno (appena sufficienti a coprire le spese)ai 1/1,2 euro di oggi. «Quest’anno la stagione delle fragole, che è limitata a circa tre settimane tra aprile e maggio, ha visto diminuzioni del prezzo del 30-40% , tanto che si teme una crisi strutturale – avverte Giambattista Polo, coordinatore di Agrinsieme – con cooperative che hanno impostato sulla fragola la loro attività a rischio di chiusura, a dispetto del fatto che in 40 anni di attività i coltivatori veronesi hanno affinato la loro produzione, col risultato di un prodotto di ottima qualità». «Bisogna puntare su un prodotto di altissima qualità non solo su nuovi mercati, dalla Scandinavia alla Russia, ma sul mercato interno – avverte Michele Pedrini, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori – sulla base di una strategia condivisa con la grande distribuzione, con un progetto almeno pluriannuale di promozione su questi mercati. Si potrebbero attingere risorse dall’Ue, attraverso l’OCM, l’organizzazione comune di mercato sulla frutta, e puntare sulla ricerca su scala macroregionale. Anche qui, nella riforma della Pac, c’è una nuova modalità di assicurazione dalla crisi di mercato che assicura una copertura del reddito dell’impresa agricola».
I fragolicoltori hanno incontrato nei giorni scorsi ad Oppeano il presidente della Regione a cui hanno sottolineato la gravità della situazione. Il governatore ha manifestato la più ampia disponibilità a valutare le proposte dei fragolicoltori e a sostenerle nelle sedi deputate. Il mercato delle fragole visto da Ismea: male l’export ma cresce la domanda interna.
Durante la riunione del Comitato Fragola del 23 aprile scorso sono stati presentati i risultati di un’indagine condotta da Ismea sul mercato della fragola. Innanzitutto, sono stati citati i punti critici della filiera, quali: l’incremento dei costi di produzione e della competizione con il prodotto estero, in particolare spagnolo. Su una disponibilità totale di 182.000 tonnellate – di cui 37.000 (pari al 17%) importate – 162.000 ton (89%) vengono consumate direttamente: lungo il canale retail il 78% e nel canale Horeca il rimanente 22%. Per quanto riguarda il retail, il 65% è appannaggio della Gdo e il 35% del mercato tradizionale. Lo scenario produttivo internazionale La breve shelf life delle fragole limita l’area di interesse di mercato ai Paesi europei e mediterranei, che presentano differenti periodi di raccolta. Spagna, Egitto, Israele, Grecia e Italia concentrano le quantità raccolte tra la fine dell’inverno e la primavera. Francia, Paesi Bassi, Germania e Polonia entrano sul mercato a fine primavera e in estate.
La produzione italiana è realizzata prevalentemente in coltura protetta (circa 82% dei 3.700 ettari coltivati), il restante 18% in pieno campo. Le principali regioni che producono fragole sono Campania (cv Sabrina), Basilicata (cv Candonga) e Veneto (cv Eva) (dati CSO). Tra i principali esportatori mondiali di fragole, figurano molti paesi dell’Europa e dell’area mediterranea. Fanno eccezione Usa e Messico, i cui scambi interessano l’area Panamericana. In Europa, la Spagna, leader mondiale, è seguita dai Paesi Bassi e Belgio che esportano in parte produzione nazionale e in parte riesportano il prodotto proveniente da altri Paesi.
L’Italia – che si colloca al nono posto tra i principali esportatori mondiali di fragole – ha anche per questo frutto una bassa propensione all’export: solo il 12% di quanto prodotto viene esportato (20.000 ton nel 2013). Nel 2mila era il 19%. Le esportazioni tricolori sono destinate quasi esclusivamente al mercato europeo, in particolare (nel 2013) il 43% in Germania, il 23% in Austria, quindi il 14% in Svizzera, il 5% nel Regno Unito. Negli ultimi anni, le importazioni di fragole dell’Italia risultano stabili intorno a 35-37.000 tonnellate. La propensione all’import (ossia il rapporto tra importazioni e consumo apparente) è medio-alta e ha una tendenza positiva. Negli ultimi anni si è passati dal 15% del 2000 al 23% del 2013. I due terzi delle importazioni provengono dalla Spagna. I consumi interni sono in aumento soprattutto al Nord ma vanno sostenuti e promossi al Sud.