Un mistero avvolge Fratelli d’Italia. Verona è la provincia dove la destra è più forte, da sempre. E’ a Verona che il partito prende più voti nel Veneto: alle regionali ha superato il 15%, in città addirittura il 17% contro la media veneta del 10%. Verona fin dall’era Almirante, passando per Fini, è sempre stata la capitale della destra veneta. E la Meloni lo sa. Eppure Fratelli d’Italia di Verona non conta niente. Perché?

Per storia e risultati sarebbe logico che il coordinatore regionale fosse veronese. Persone in grado di ricoprire questo ruolo, con esperienza e standing, in riva all’Adige ce ne sono, a cominciare al segretario provinciale Ciro Maschio, che tra l’altro ha anche il merito di aver fondato il partito e di averlo portato da zero al 15%. Peccato che la Meloni abbia scelto per questo ruolo un bellunese, sindaco di un paesino, eletto per sbaglio alla Camera nel 2018, sconosciuto prima di allora. Prima di lui il coordinatore regionale era un vicentino, Berlato, che ha lasciato dopo essere stato eletto in Europa.

Quando si è trattato di scegliere un candidato dopo la morte di Bertacco per le elezioni suppletive in uno dei due collegi  senatoriali veronesi la Meloni non ha scelto, come sarebbe stato logico, un veronese. No, ha candidato un bellunese, sempre lui.  Adesso l’aspettativa era che nella nuova giunta l’assessore di FdI fosse un veronese. Invece Zaia ha scelto la Donazzan, bravissima ed esponente della destra di lungo corso, ma vicentina.  Polato, che per il successo elettorale aspirava ad essere assessore, pareva potesse essere eletto vice-presidente del Consiglio, un premio di consolazione. Neanche quello. E nemmeno il capogruppo di FdI in Regione è veronese. E’ stato scelto Speranzon, veneziano.

La domanda sorge spontanea: Perché? Com’è possibile che la provincia che porta più voti al partito in misura di gran lunga superiore a tutte le altre, non sia tenuta nella minima considerazione quando si tratta di ricoprire posizioni importanti? Mistero.