I mondiali senza l’Italia ripropongono il problema dei troppi stranieri nelle nostre squadre. E non solo nel calcio. Un altro problema che dipende dall’Europa

L’assenza dell’Italia agli ultimi due campionati mondiali di calcio ripropone il tema della presenza di troppi giocatori stranieri nei campionati italiani. Ma come – si chiede la gente- la nostra nazionale, quattro volte campione del mondo, superata solo dal Brasile ed eguagliata dalla sola Germania, per ben due volte è tagliata fuori dalla più importante competizione mondiale? Perché.?

La risposta facile: troppi stranieri nelle nostre squadre fungono da tappo per gli atleti italiani del vivaio che non trovano sbocchi. Di conseguenza la selezione nazionale può pescare solo su una rosa limitata di giocatori. Di qui il declino, fortunatamente interrotto solo dalla vittoria agli ultimi europei. La controprova? Quando c’era un limite all’utilizzo degli stranieri le cose andavano meglio.

Di qui la convinzione, data dal buonsenso ma anche degli esperti, che sarebbe necessario tutelare i vivai limitando il numero degli stranieri nelle squadre dei vari campionati.

Di questa idea è anche la FIGC con alcune proposte come quella di stabilire l’obbligo di presenza di un numero fisso di atleti italiani fra gli 11 titolari, inizialmente 4 per arrivare a 6. Mentre oggi ci sono squadre composte al 90 o anche al 100% da stranieri.

E non è solo un problema del calcio: altre federazioni, come quella del Basket, del Volley e altri sport, sentono la medesima necessità ponendo un limite al tesseramento degli stranieri o l’obbligo di impiegare un numero fisso di italiani.

E non è nemmeno un problema solo italiano. In Russia, dove già esistono dei limiti, il Parlamento ha preso provvedimenti per ridurre il numero degli stranieri nei campionati di calcio, pallavolo, basket ed hockey su ghiaccio.

Si tratta insomma di un problema molto sentito. E non solo al livello di sport. E’ intuitivo che la carriera sportiva costituisce anche un’opportunità di lavoro e, in molti casi, di elevazione sociale. Impedire che tanti giovani promettenti in tutte le discipline sportive possano accedervi a causa di un tappo costituito dalla presenza massiva di atleti stranieri è anche un danno all’economia del paese.

Perché?

Ancora una volta il problema è l’Europa. L’Italia, anche nel campo dello sport, non è indipendente. Per tutta una serie di trattati deve sottostare a ciò che decide l’Ue che, appellandosi all’art 39 CE, vieta qualsiasi tipo di discriminazione basata sulla cittadinanza per i lavoratori degli stati membri in termini di occupazione, retribuzione e condizioni di lavoro. Nello specifico vieta che le società calcistiche possano “schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri”. Al punto che l’Ue in alcuni casi ha avviato procedure di infrazione contro l’Italia per violazione dei principi contenuti nei trattati comunitari.

Questo vale per il calcio, ma anche per tutti gli altri sport che patiscono della medesima imposizione. 

A questo punto bisogna prendere atto che se l’Italia non ha la forza di svincolarsi da determinate imposizioni dell’Ue, come il caso eclatante dell’immigrazione incontrollata che viola principi ben più pesanti come quello dell’inviolabilità dei confini., non riuscirà certo a farlo per lo sport. 

L’unica strada allora è che siano le società sportive ad agire. Ci sono gli interessi economici, d’accordo. Ma dietro la pressione dell’opinione pubblica e -perché no? della politica e la ‘moral suasion’ esercitata dai tifosi, come solo loro sono capaci di fare, possono essere solo le società a invertire la tendenza e a dare spazio agli italiani. In caso contrario gli italiani si dovranno mettere il cuore in pace: il campionato del mondo vinto a Berlino nel 2006 sarà l’ultimo.

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