(Di Gianni Schicchi) Sapevamo fin dall’inizio che cosa ci proponeva questo “Il mio cuore è con Cesare” che Alessandro Preziosi ha portato in scena al Teatro Romano nell’adattamento di Tommaso Mattei. Ce ne aveva parlato lui, diffusamente in una serrata conferenza stampa all’hotel Due Torri, ma non ne immaginavamo gli ottimi esiti in palcoscenico, dove la parola è stata chiara, le azioni convincenti, le sole poche battute con cui Cesare commenta l’aspetto di Caio Cassio, bastanti per vedere vivi i personaggi della vicenda, per gustare insomma il teatro.

Una prima nazionale, per un progetto originale, pensato appositamente per l’Estate Teatrale Veronese, dove il celebre attore napoletano si è fatto in quattro, nel senso che la sua performance ha coinvolto non solo la figura di Cesare, ma ha allargato l’indagine anche su Cassio (l’organizzatore dell’attentato), Bruto (il freddo esecutore dell’assassinio di Cesare) e su Marco Antonio, con la sua celebre orazione funebre, punto focale dell’intero dramma. 

Una tragedia senza eroe, per un testo limpido e semplice solo all’apparenza, ma complesso nella sostanza che richiede un’attenta soluzione di molteplici problemi. Nel riadattamento di Tommaso Mattei, i caratteri dei personaggi principali sono apparsi nitidi e inconfondibili, guidati dall’ambizione, in nome del potere e in una crisi raffigurata nel momento in cui vengono scardinate l’istituzione sacrale della Repubblica ed una società che si esigeva preordinata e armonica. 

Insomma tragedia dell’ordine costituito, ma anche di Bruto o dell’ideale stesso di libertà, di un intellettuale annichilito dalle sue stesse virtù. E proprio perché tale tragedia possa cogliere i dubbi e le incoerenze che segnano anche i momenti più alti dello spirito, essa chiarisce in profondità il rapporto fallimentare fra virtù privata e pubblica, fra “ingenuo, stoico eroismo e senso politico dell’azione”. 

Una visione straordinariamente moderna di almeno tre grandi figure politiche: Cesare, Bruto, Antonio, esaminate nell’intreccio dei loro destini, ma anche nel segreto della loro vita interiore. Una visione che si traduce, in quel regno della parola teatrale, nell’opposizione di diversi tecnicismi retorici, nell’ostentazione della parola come flessibile, affascinante strumento di cattura emotiva e di manipolazione delle coscienze. 

Il Giulio Cesare è popolare soprattutto per l’orazione funebre di Marco Antonio sulle spoglie di Cesare, brillante pezzo di oratoria con cui egli sobilla la plebe romana contro i congiurati, proprio mentre afferma di non volerlo fare. Non solo uomo d’arme, ma altresì raffinato calcolatore e politico astutissimo. In Bruto Preziosi ha spesso offerto motivi di angosciata umanità, come allucinanti sillogismi, raggiungendo un piano di limpida espressione nella giustificazione dell’omicidio e nella rappacificazione con Caio Cassio.  

Il suo grande merito è stato però quello di aver mantenuto un ritmo costante nei quadri del dramma, quelli finali specialmente, dove le insidie molteplici avrebbero potuto condurre ad una formula manieristica, rovinosa per la stupenda essenza poetica del testo. I problemi che agitano i quattro protagonisti sono stati fondamentali e determinanti, tremendi, mortali. Preziosi ha scavato poi a fondo nel carattere tortuoso e complesso del suo Marc’ Antonio, facendolo via via apparire sincero, manipolatore, commosso, furente. Il suo discorso dei rostri è stato un autentico pezzo di bravura. 

A completare il dramma, l’indovinata musica, in parte elettronica, di Giacomo Vezzani, da lui tradotta live in compagnia di un famoso flautista come Massimo Mercelli, col violoncello di Maria Cecilia Berioli, che ha fatto bene risaltare la ruggine sotterranea in cui si dipanano i sentimenti dei quattro protagonisti.