(di Giovanni Perez) La vicenda del reddito di cittadinanza occupa le cronache politiche e, data la sua complessità, essa si presta ad una molteplicità di interpretazioni. Tra queste, ce n’è almeno una che non ha ricevuto l’attenzione che essa invece meriterebbe, perché richiama una questione di cui oggi nessuno più parla, ovvero la ben nota “Questione meridionale”, che sembrava quasi del tutto archiviata.
La connessione tra il cosiddetto reddito di cittadinanza e la Questione meridionale, che risale alle origini dello Stato unitario italiano, analizzata da innumerevoli punti di vista, da quelli ideologici a quelli più strettamente economici, politici e sociali, salta immediatamente agli occhi, dato il netto squilibrio quantitativo tra il numero dei percettori del reddito medesimo e la collocazione geografica delle loro regioni di appartenenza. Non a caso, ma questo non è divenuto oggetto di polemica politica come avrebbe invece meritato, l’introduzione di questo provvedimento e i risultati elettorali andati al M5S, come è noto, soprattutto nelle regioni del Sud Italia, si è configurato come un autentico, vergognoso voto di scambio. Ora questo partito tenta di garantirsi la sopravvivenza politica aizzando la piazza contro il Governo Meloni, reo di voler mettere mano al “Reddito”, eliminandone quanto meno gli aspetti più assurdi, ideologici e sicuramente ingiusti, senza negare il fatto che anche in Italia, in alcune fasce di popolazione, esiste una situazione di disagio che sconfina nella vera e propria povertà.

Guardando al futuro, non appena le acque si saranno rasserenate e le iniziative di Conte e compagni, che rasentano l’eversione, risulteranno in tutto il loro aspetto demagogico, il Governo dovrà riportare all’ordine del giorno proprio l’esistenza di una irrisolta Questione meridionale, anche in riferimento alla futura, se non addirittura prossima discussione sull’autonomia.

Occorre ricordare che esiste un nuovo ministero, guidato da Nello Musumeci, denominato delle Politiche del Mare e per il Sud, che potrebbe farsi promotore, in sintonia con altri ministeri, compreso quello alla Cultura, di iniziative coraggiose capaci di dare una svolta alle politiche dello sviluppo economico, affinché un progetto di crescita stabile per il Sud sia espressione della sua intrinseca vocazione, delle sue molte energie e potenzialità rimaste ancora inespresse. Si tratta di una sfida assai difficile, che il nuovo Governo Meloni dovrà quanto prima affrontare con determinazione e visione strategica. 
Fortunatamente, anche in questo campo non si partirà dal nulla. La Destra nel dopoguerra ha offerto preziosi contributi al dibattito, ritornato in auge a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, circa il ripensamento del meridionalismo, nel nuovo contesto europeo e mondiale. Tra le eredità, senz’altro da riprendere dai programmi del “vecchio” Movimento Sociale, c’è sicuramente l’attenzione che fu riservata alle politiche volte ad elaborare una diversa idea di Mezzogiorno, alternativa a quella fallimentare che caratterizzò i decenni in cui dominò il famigerato consociativismo tra Democrazia cristiana e Partito comunista. Di Gabriele Fergola, l’indimenticabile ispanista napoletano, le Edizioni Vita Nova hanno recentemente ristampato una raccolta di articoli in cui ritorna in tutta la sua gravità lo spettro di un’Italia invertebrata, quale esito inevitabile della mancata capacità di armonizzare il Nord con il Sud del Bel Paese, secondo i lineamenti di un comune destino, al di là delle rispettive differenze e corrispondenti strutture economiche e sociali.