Il ritorno dell’Italia a Trieste (ma non in Istria)

(di Lorenzo Salimbeni e Davide Rossi) La celeberrima definizione che Winston Churchill dette nel 1946 della Cortina di Ferro ne fissava gli estremi a Stettino sul Baltico e a Trieste sull’Adriatico. Trieste era insorta non il 25 aprile 1945, bensì il 30, grazie ad un Comitato di Liberazione Nazionale che aveva dovuto fronteggiare non solo la repressione nazista, ma anche le delazioni e la volontà di condurre una resistenza parallela da parte dei partigiani comunisti, sia italiani sia sloveni e croati, i quali auspicavano l’annessione alla nascente Jugoslavia titoista delle terre conquistate dall’Italia a costo di immani sacrifici durante la Prima Guerra Mondiale.

Trieste era un porto collegato grazie alle infrastrutture realizzate dall’Impero asburgico con una Mitteleuropa su cui si allungava l’ombra dei regimi comunisti allineati all’Unione Sovietica, una città che dopo l’apatia al cospetto dei moti risorgimentali del 1848 era diventata “fucina di italiani” e capitale dell’irredentismo, nonché, assieme alle cittadine della costa istriana fino a Fiume, un presidio di italianità con un retroterra abitato in prevalenza da sloveni e croati: in tale scenario, l’arrivo delle truppe angloamericane nel porto adriatico poche ore dopo i partigiani comunisti segnò l’inizio di un estenuante confronto diplomatico.

Neanche il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 addivenne ad una soluzione, proponendo la nascita di un Territorio Libero di Trieste (il cui Governatore non fu mai individuato dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza della neonata ONU) suddiviso in Zona A sotto Amministrazione militare angloamericana (sostanzialmente la provincia di Trieste) e B sotto Amministrazione militare jugoslava (i distretti istriani di Capodistria e di Buie). Il 20 marzo 1948 Stati Uniti, Inghilterra e Francia si impegnarono a restituire all’Italia il T.L.T.: si trattò di una mossa che, alla vigilia delle elezioni del 18 aprile, mise in imbarazzo il PCI (già messo in difficoltà dal colpo di stato comunista in Cecoslovacchia e dall’arrivo dei primi generosi aiuti del Piano Marshall), in quanto collegato con l’Unione Sovietica e la Jugoslavia comunista. Una volta trascorsa la scadenza elettorale la dichiarazione non ebbe conseguenze, anche perché a giugno Tito, dopo aver allargato i propri confini grazie al patrocinio sovietico, era stato espulso dal Cominform, l’organismo di coordinamento tra i partiti comunisti, a causa delle sue mire egemoniche nei confronti di Grecia, Bulgaria ed Albania. Il dittatore jugoslavo si pose tra i leader dei Paesi Non Allineati, trovò una via jugoslava al socialismo e si garantì la sicurezza stringendo un’alleanza con Grecia e Turchia membri della NATO. Ambiguo attore nella contrapposizione tra i due blocchi della Guerra Fredda, Tito ottenne un trattamento di favore nelle trattative per Trieste, tanto che nell’estate del 1953 il Presidente del Consiglio Pella mobilitò l’esercito per fronteggiare le provocazioni jugoslave.

Il clima incandescente portò alle mobilitazioni di piazza dei triestini, che dal 3 al 6 novembre ribadirono la propria italianità anche di fronte al fuoco della polizia del Governo Militare Alleato, che lasciò sull’asfalto sei morti (più un settimo deceduto successivamente causa le ferite riportate), il cui ricordo rimase sbiadito per decenni e che soltanto nel 2004 furono riabilitati, grazie al Presidente della Repubblica Ciampi che li insignì della Medaglia d’Oro al Valor Militare in occasione del cinquantennale del ritorno dell’amministrazione italiana a Trieste.

Il 26 ottobre 1954, per effetto del Memorandum di Londra, nella Zona A l’Amministrazione militare angloamericana aveva infatti lasciato il posto a quella civile italiana; nella B, alla quale erano state accorpate alcune località del Comune di Muggia che consentivano di dominare il golfo di Trieste, l’Amministrazione jugoslava passò da militare a civile. Il tripudio dei triestini nascose l’amarezza degli esuli (alcune migliaia di istriani lasciarono le loro terre, unendosi agli oltre 300.000 che già avevano abbandonato l’Adriatico orientale nel precedente decennio) che vedevano moncate le loro legittime aspettative nei confronti delle terre d’Istria della Zona B.

Il 26 ottobre 1954 Piazza Unità era un vero tripudio, gremita di italiani festanti e di bandiere tricolori: quello fu probabilmente l’ultimo vero vagito di patriottismo del Novecento. Sergio Romano ha definito quella data la conclusione del Risorgimento, anche se l’ultima pagina della Questione Adriatica sarebbe stata vergata a Osimo il 10 novembre 1975, allorché frettolosamente e lontano dai riflettori, l’Italia, in cambio di nulla, riconobbe la sovranità jugoslava sulla ex Zona B.

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