Io sto con Elena Donazzan. Perché Faccetta Nera è storia, non politica

(di Paolo Daanieli) Lunedì a Palazzo Ferro Fini si riunisce la maggioranza per discutere l’atteggiamento da tenere in Consiglio Regionale sulla mozione contro l’assessore al lavoro Elena Donazzan, rea di aver cantato “Faccetta Nera” a Radio 24. La mozione di biasimo è stata presentata da Pd, M5S, Verdi e altre formazioni di sinistra, ma è firmata anche da Valdegamberi (Lista Zaia). Com’è noto la Donazzan (Fratelli d’Italia) alla “Zanzara“, la trasmissione di Giuseppe Cruciani, ha cantato alcune note di “Faccetta nera”. Zaia l’ha ripresa invitandola a scusarsi, cosa che lei ha fatto. Fin qui i fatti, che meritano però una riflessione politica.

La Lega, anche se Zaia non l’ha destituita, con diversi esponenti ha tenuto a prendere le distanze e a rimarcare la netta condanna del fascismo. Tanto perché non ne vengano equivocate le posizioni identitarie e sovraniste.  Gelida e infastidita la posizione di FdI che s’è ben guardato da esprimere solidarietà al suo assessore temendo che potesse mettere in discussione il percorso della destra italiana per essere accettata. Così la Donazzan s’è trovata sola. 

Ma accennare a “Faccetta nera” è apologia del fascismo? Specie se fatto in un contesto satirico come quello della “Zanzara” che concede molto all’eccesso e alla provocazione? Prima di scagliare anatemi sarebbe bene sapere di che cosa si parla.

La canzone – non è un inno- è del 1935. E’ espressione dell’Italia colonialista come tante altre nazioni europee e inneggiava alla conquista dell’Africa Orientale. Di fascismo c’è ben poco. Un accenno alle “camice nere“, di moda all’epoca, e al “Duce”. Due riferimenti più contestuali che ideologici. A voler spaccare il capello in quattro nella canzone, presentata ad un festival musicale romanesco, c’è l’esaltazione dell’azione civilizzatrice dell’Italia e dell’abolizione della schiavitù che, trasposta ai giorni nostri, equivale a farsi portatrice dei “diritti umani”. Se poi vogliamo esagerare, addirittura si canta l’intento di far diventare “romana” la giovane abissina. Chiara declinazione di quello che oggi viene definito “accoglienza”, che si riscontra anche nell’altro detto dell’epoca “e se l’Africa si piglia / si fa tutta una famiglia“. Tutti concetti che fanno a pugni col razzismo e con l’idea corrente di fascismo. Questo tanto per mettere i puntini sulle i.

C’è poi il tema della libertà d’espressione sancito dalla Costituzione, ma non è il caso di scomodarlo. C’è un equivoco di fondo. Quando parliamo di “Faccetta nera” parliamo di qualcosa di 85 anni fa, quasi un secolo. E’ storia. La politica non c’entra. E’ come parlare dei garibaldini. Che attinenza hanno con l’oggi? Zero. Idem “Faccetta nera” o il fascismo, se proprio vogliamo tirarla per i capelli. Dopo tanti anni gli eventi vanno storicizzati. Non sono più politica, sono storia. Se vogliamo parlare di Annibale, di Napoleone, di Garibaldi dobbiamo farlo nell’ambito di un dibattito storico. Non in Consiglio Regionale. Lo stesso vale per Mussolini, il Negus Haile Selassié, Lenin, Stalin, Hitler, Churchill ecc. Trasferire in politica un’opinione storica equivale ad aprire un contenzioso con la Francia per i danni di guerra di Napoleone. Il fascismo è un fenomeno storico che si è concluso. Faccetta nera oggi la si potrebbe trovare su qualche barcone, vittima dei mercanti di carne umana. Magari, se le cose fossero andate diversamente, potrebbe essere rimasta tranquillamente in Abissinia, a casa sua, in una di quelle costruzioni coloniali che l’Italia …Ma questa è un’altra storia. In ogni caso, non politica.

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