La “transizione ecologica” deve passare anche dall’alimentazione. Non solo dalla mobilità.

Quando si parla di inquinamento e dei cambiamenti climatici che ne conseguono si pensa sempre alla combustione dei motori a scoppio e delle caldaie per riscaldamento. Si dimentica sempre di citare un’altra pesante fonte di inquinamento, quella proveniente dall’industria della carne con i suoi allevamenti, soprattutto di bovini. Da uno studio di Meat Atlas condotto da Friends of Hearts e dalla Heinrich Boll Stiftung risulta che le prime 20 multinazionali della carne inquinano più dell’intera industria tedesca, che è una delle più forti del mondo. L’inquinamento è la conseguenza soprattutto delle emissioni di Co2 degli animali allevati, cui vanno aggiunti l’enorme consumo di acqua (11.500 litri per produrre un chilo di carne), la deforestazione e i pesticidi.

Tuttavia l’attenzione dei legislatori è tutta concentrata altrove. Si spinge per l’elettrificazione della mobilità. Non si fa nulla per disincentivare i consumi di carne che stanno a monte di questo tipo di inquinamento. Il settore alimentare emette tra il 21 e il 37% dei gas serra. E di questi più della metà viene dagli allevamenti: il 45% dalla produzione di mangimi, il 39% dal metano emesso dai bovini ed il 10% dal letame. 

Se a questi dati s’aggiunge il costo economico ed umano dei danni provocati alla salute da un’alimentazione pericolosamente sbilanciata sull’apporto proteico delle carni, di cui viene fatto un consumo spropositato specie in alcuni paesi, se ne deduce l’urgenza di una generale presa di coscienza sulla necessità di intervenire su tutte le fonti di inquinamento e non solo sui tubi di scappamento delle auto.

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