Gli Stati Uniti hanno scelto il nuovo “terreno fatale” dove si terrà la prossima guerra: è l’Asia partendo dal Mar Cinese meridionale dove Pechino vuole assoggettare una serie di isole, dalla sovranità controversa, per poter accedere direttamente ad un tratto di oceano dove passa il 20% del commercio mondiale. Gli Usa hanno abbandonato l’Afghanistan e la lotta all’Islam estremista (in questo fa molto di più Vladimir Putin) per concentrarsi su questo scenario: la lotta con la Cina per la supremazia dei prossimi cento anni. Per farlo, non soltanto hanno chiuso in fretta e furia vent’anni di guerra a Kabul, ma hanno gettato alle ortiche anche i consolidati legami con l’Europa. I nuovi partner in questa partita sono noti: UK (uscita, guarda caso, dall’Unione Europea), Australia (cui Biden darà sottomarini nucleari), Giappone (in riarmo), Taipei, Vietnam (la marina Usa ha sostituito quella sovietica nella principale base navale di Hanoi), Filippine (storico alleato direttamente minacciato nella sua  sovranità), India (in riarmo, in funzione anti-Cina e anti-Pakistan talebano).

E noi? L’Europa blatera di esercito comune, ma è divisa nell’industria e nella tecnologia militare. Qualche esempio: la Francia perde nell’accordo Usa-Uk-Australia 31 miliardi € di commesse militari. Ma è l’ultimo anello di una catena di sconfitte commerciali: l’Italia – con cui la Francia costruisce le fregate Fremm – ha soffiato sotto il naso di Parigi commesse in Marocco, Grecia, Arabia Saudita. In pratica, studiamo e sviluppiamo insieme le navi più moderne del momento (persino gli Usa le comprano), ma sui mercati ci facciamo la guerra. Un altro esempio: si pensa ad un polo europeo per i sommergibili, ma lo si vuole solo italo-tedesco escludendo i francesi. E, ovviamente, facendoci la guerra nei mercati. E ancora: gli arei ultima generazione. L’Italia e molti altri Paesi europei sono nel consorzio dell’F-35. L’Italia, con UK e Svezia, sta però già lavorando al programma Tempest (un caccia che subentrerà all’F-35) di air-superiority, mentre Germania, Francia e Spagna (che sono insieme a UK e Italia nel programma Eurofighter) ne stanno facendo un altro simile e concorrente…

Se poi andiamo sul terreno, ogni Paese fa storia a sé proponendo e vendendo sistemi d’arma a chiunque. Quanti carri armati diversi sono in linea in Europa? con quale costo in termini di efficienza operativa?

Insomma, l’Europa della difesa è un potenziale industriale enorme, che fa gola a tanti (la Cina è stata beccata poche settimane fa con le mani nella marmellata mentre stava comprando  una fabbrica italiana di droni militari), ma non ha né una visione strategica né una guida militare.

Adesso che è “orfana” degli USA deve decidere come posizionarsi nei confronti della Russia – da cui dipende per l’energia e che è la potenza regionale che può mantenere il controllo dell’Asia centrale contenendo Iran, Pakistan e la “sua” nuova provincia afghana – e della Cina che è il primo competitor commerciale dei prodotti europei, possibile nemico strategico (se confermiamo la nostra alleanza con Usa e UK) ma al quale abbiamo consegnato il Porto del Pireo e almeno un paio di porti italiani: Taranto (dove c’è la base della nostra Marina militare!)  e Trieste (dove soltanto il nostro Zeno D’Agostino sta contenendo le mire e gli appetiti cinesi).  Soltanto dei “magliari” riescono a fare più casino della politica di difesa europea che è già un mostro bicefalo: il presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen da una parte, e Sepp Borrell (alto rappresentante per la politica estera e di difesa) dall’altra. Tanto che, alla presentazione del progetto europeo di force de frappe comune (a guida francese sennò non ci stanno…) Borrell non è stato nemmeno invitato. Dei magliari, appunto…

Una “grande Europa” dovrebbe invece svolgere il ruolo che le compete. E tutto passa per il rapporto con la Russia. Lo zio Sam dovrebbe smetterla di fare i dispettucci a Putin. E l’Europa sbaglia ad accontentarlo. L’unica strada è una grande alleanza dei popoli europei, di qua e di là dell’Atlantico fino agli Urali per far fronte al “pericolo giallo”. Il ruolo dell’Europa d’ora in poi dev’essere solo questo.