Lo smart working conquista le aziende venete e soprattutto i manager. Sarà il nuovo modello vincente del lavoro?

(s.t.) Senza la pandemia non saremmo qui a parlare di lavoro agile, ma di meno lavoro e di più aziende chiuse. E non è un’esagerazione, ma la constatazione che lo smart working ha contribuito a salvare molte situazioni a rischio tracollo a causa lockdown, soprattutto nella scorsa primavera. Le cifre sono importanti e le modalità a tratti sorprendenti: secondo la Federmanager delle province di Treviso e Belluno (ma possiamo valutare che Verona non si collochi molto lontana) nel periodo più caldo della pandemia ad esempio praticamente la metà dei manager (il 49%) ha spostato l’ufficio in salotto, più dei dipendenti (il 47%). Si è trattato insomma di un’autentica rivoluzione che sta facendo pensare a molte imprese di adottarla come soluzione ideale in via definitiva anche una volta archiviata l’emergenza.

“La partenza è stata improvvisa e la situazione ci ha colti senz’altro impreparati, ma questa pandemia ci ha comunque insegnato molto anche se non è ancora del tutto chiaro quale sarà l’impatto definitivo”, sottolinea il presidente della Federmanager di Treviso e Belluno, Adriano De Sandre. “In ogni caso i dirigenti si sono mostrati all’altezza della situazione: di sicuro con lo smart working cambieranno profondamente i paradigmi della managerialità e della gestione delle imprese”. Anche se non sempre si tratta di autentico smart working, un termine a volte usa impropriamente perché abbiamo semplicemente mandato a casa a lavorare le persone il più delle volte senza intervenire sull’architettura delle imprese, sulle reti informatiche, sull’organizzazione dei compiti e sull’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Comunque sia, e avremo tempo in futuro di analizzare il cambiamento, si rivoluzione si è senza dubbio trattato. Metà delle aziende di Treviso e Belluno, hanno avuto nel 2020 più del 50% di dipendenti in lavoro agile, e una su quattro addirittura oltre il 75%. Percentuali doppie rispetto a quanto accadeva prima del Covid-19, quando la percentuale di lavoratori distaccati dalla sede si attestava nella media italiana al 28% (ancora meno, il 26% al Nord). Come detto, un elemento divergente è stato rappresentato dal numero di dirigenti finiti in smart working: quasi metà delle aziende ha fatto lavorare da casa oltre il 75% dei propri manager. Uno sguardo al futuro ci rivela che è previsto un calo fisiologico, ma un’azienda su quattro manterrà in ogni caso oltre il 50% di dirigenti al lavoro da casa. In sostanza, dice Federmanager, smart working con incidenza in calo, ma comunque significativa, pari a un 31% per il personale e al 34% per i dirigenti.

E i diretti interessati che cosa ne pensano? Lo smart working vince a mani basse. Per ben il 90% è stata un’opportunità positiva o addirittura molto positiva, mentre solo per l’8,7% si è trattato di un’esperienza negativa. Secondo un dirigente su tre il lavoro agile ha spinto in su la produttività dell’azienda (al contrario, il 38% crede che non sia cambiato nulla). Tra i principali vantaggi del lavoro a casa la riduzione dei costi (62%), la sostenibilità ambientale (45%) e una maggiore efficienza (39%). Tra gli svantaggi, invece, prevale l’aspetto di avere minori relazioni sociali (73%) e un aumentato rischio di isolamento (52%).

“Il sondaggio dimostra che moltissime aziende hanno considerato vantaggioso far lavorare personale e dirigenti da casa. Non è una novità assoluta, ma il fatto di avere più del 50% di persone in smart working ci sta dando importanti indicazioni su come cambierò lo stile del management. Ad esempio sarà opportuno motivare le persone a raggiungere gli obiettivi e non a presidiare l’ufficio. Nulla sarà più come prima: presto o tardi cambieranno i posti di lavoro e i trasporti, ma anche le nostre abitazioni, magari con la creazione di spazi appositi o di uffici condivisi. Dovremmo probabilmente progettare le nostre case tenendo conto di dove posizionare l’ufficio”, conclude De Sandre. “Sarà certamente una rivoluzione, ma non dimentichiamoci che le relazioni sociali devono rimanere un elemento fondamentale per la coesione e la crescita delle persone e anche delle aziende e del tessuto sociale”.

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