Malato di Sla: voglio morire a casa mia. Il suicidio assistito unico modo per evitare le sofferenze

Flavio Farris, 46 anni, di Finale Emilia, in provincia di Modena, è affetto da Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, malattia degenerativa del sistema nervoso che non lascia scampo e per la quale non è ancora stata trovata una cura. E’ solo al mondo, vive a casa sua assistito da tre persone che lo accudiscono, lo curano e lo lavano. Adesso sta per finire i soldi e, non riuscendo più a pagare le assistenti, non vuole finire la vita in una Rse. Chiede quindi di morire.
La Sla produce una paralisi progressiva e rende il malato immobile, incapace dei minimi movimenti quotidiani della vita. Funziona solo il cervello nella sua funzione cognitiva, in quanto a essere colpiti sono i neuroni motori. Chi ne è colpito, progressivamente, col tempo, non riesce più a parlare né a deglutire, quindi non può né bere né mangiare. L’idratazione e la nutrizione avvengono attraverso la Peg, gastrostomia endoscopica percutanea. Praticamente viene inserita una valvola nello stomaco sulla quale viene applicata la cannula attraverso la quale si fa passare una pappata con le sostanze necessarie alla nutrizione. Il paziente non può più bere neanche una goccia d’acqua né assaporare alcunché. Poiché non può parlare oggi si può avvalere della tecnologia mediante un dispositivo che traduce in parole i movimenti degli occhi.
L’amministratrice di sostegno ha lanciato una raccolta fondi per aiutarlo. ”Lui continua a ripetermi – spiega alla Gazzetta di Modena- , che preferisce la morte assistita piuttosto che tornare in una Rsa”.
Farris è terrorizzato dal non poter morire a casa sua senza soffrire.
Dopo le polemiche seguite alla decisone della regione Veneto di garantire il secondo suicidio medicalmente assistito, finalizzato a risparmiare sofferenze non finalizzate alla guarigione a malati comunque condannati a morire, questo ennesimo episodio dovrebbe far riflettere quanti pretendono di imporre la loro visione della vita impedendo a quanti lo vogliono un fine vita dignitoso. E’ facile parlare in teoria, basandosi su letture o principi definiti da altri. Poi però c’è la realtà, la sofferenza, la disperazione. E se questi signori vi fossero immersi, probabilmente cambierebbero idea.

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